Il destino giudiziario di Ghislaine Maxwell potrebbe cambiare di nuovo. Dopo anni di silenzio e condanna definitiva a 20 anni per traffico sessuale, la socialite britannica è tornata al centro della scena: il Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Trump ha annunciato ufficialmente di volerla incontrare “nei prossimi giorni”. L’obiettivo? Valutare la possibilità di un accordo, un patteggiamento che, in cambio di informazioni su altri possibili abusatori, potrebbe riscrivere l’intera narrazione del caso Epstein.
È un colpo di teatro. Ma anche un atto di disperazione.
A renderlo pubblico è stato il vice procuratore generale Todd Blanche, fedelissimo di Trump, con un post su X rilanciato con enfasi dalla procuratrice generale Pam Bondi: “Se Maxwell ha informazioni su qualcuno che ha commesso crimini, l’FBI e il Dipartimento di Giustizia la ascolteranno”. Parole calibrate per mostrare un cambio di passo. Ma il contesto politico suggerisce l’opposto: la Casa Bianca, assediata dalle pressioni interne al mondo MAGA per la mancata pubblicazione dei dossier Epstein, sembra voler guadagnare tempo e, se possibile, trovare un diversivo utile.
Statement from @DAGToddBlanche:
This Department of Justice does not shy away from uncomfortable truths, nor from the responsibility to pursue justice wherever the facts may lead. The joint statement by the DOJ and FBI of July 6 remains as accurate today as it was when it was…
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) July 22, 2025
Secondo l’avvocato di Maxwell, David Oscar Markus, i contatti sono già in corso. In un post social ha confermato che “Ghislaine testimonierà sempre con sincerità” e ha ringraziato il presidente Trump per “l’impegno a far emergere la verità”. Un tono sorprendentemente conciliante, dopo anni di ostilità reciproca. E che fa pensare che qualcosa si stia muovendo a tutti gli effetti.
Ma cosa può offrire Maxwell in cambio? Nomi, date, luoghi. Un “libro nero” non ancora esaurito. E forse, per la Casa Bianca, la possibilità di dirigere l’attenzione verso altri bersagli, salvando ciò che resta della credibilità presidenziale. Se Maxwell parla – o se viene fatto trapelare che parlerà – il sospetto può diventare arma. Il nemico, un bersaglio politico. E il presidente, l’eroe che ha “fatto giustizia”.
In questo quadro, l’intervento di Tulsi Gabbard non è affatto casuale. Con la desecretazione di vecchi documenti dell’intelligence e l’accusa all’amministrazione Obama di aver “fabbricato” le prove sul Russiagate, l’attuale direttrice della National Intelligence ha fornito a Trump la perfetta cortina fumogena per spostare il dibattito pubblico. L’operazione è chiara: rilanciare una narrativa alternativa che rimbalzi da Fox News a Truth Social, parlare di golpe istituzionale, screditare Robert Mueller, Hillary Clinton e Barack Obama e soprattutto oscurare i riflettori su Epstein, Maxwell e l’imbarazzante opacità della Casa Bianca. Il tempismo non è solo sospetto, è chirurgico. E sta già producendo i suoi effetti: il dibattito è polarizzato, la base MAGA galvanizzata e le domande scomode sul patto Maxwell diventano secondarie. Per ora.
Il rischio per Trump è concreto. Dopo aver promesso trasparenza, ha lasciato che il Dipartimento di Giustizia pubblicasse un promemoria senza nuove informazioni, negando l’esistenza di una “lista clienti” di Epstein. Una mossa che ha deluso l’opinione pubblica: secondo un sondaggio Reuters/Ipsos, il 69% degli americani crede che il governo stia nascondendo dettagli sul caso.
Anche il fronte interno è in fibrillazione. I commentatori MAGA più radicali chiedono conto del silenzio. Lo speaker della Camera, Mike Johnson, ha prima chiesto la pubblicazione dei dossier, poi ha fatto marcia indietro, bloccando il voto su una risoluzione bipartisan che ne avrebbe ordinato la desecretazione. Il podcaster Theo Von ha denunciato apertamente lo stallo e JD Vance è tornato a chiedere risposte. In questo contesto, il patto con Maxwell appare come l’unica carta rimasta da giocare.
Ma l’accordo, se davvero in corso, è tutt’altro che privo di rischi. Prima di tutto perché Maxwell, condannata nel 2021, non ha mai mostrato segnali di collaborazione né durante il processo, né successivamente. Poi, perché la sua eventuale deposizione potrebbe toccare nomi eccellenti, anche repubblicani. E infine, perché nessuna amministrazione, fino ad oggi, aveva formalmente chiesto di interrogarla. Perché proprio ora?
Il timore, legittimo, è che si voglia costruire una verità selettiva. Rivelare solo ciò che conviene. Chiudere il caso con una “colpevole utile” e una manciata di nomi sacrificabili. E dichiarare la missione compiuta.
Ghislaine Maxwell, a lungo considerata una figura di contorno nel caso Epstein, rischia ora di diventare l’ago della bilancia in una delle stagioni politiche più velenose della storia americana. Se parlerà davvero, potrebbe far tremare gli equilibri. Se verrà usata, sarà solo il volto di un compromesso costruito per mettere a tacere domande scomode.
Trump spera in un effetto domino utile a spostare l’attenzione. Ma la verità, quella vera, resta ancora prigioniera di omissioni, archivi chiusi e giochi di potere. E ogni giorno che passa, l’ombra di Epstein si allunga, non si dissolve.