Tre giorni a Gaza, in una città ridotta a campo profughi. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha fatto visita alla comunità cristiana della Striscia, celebrando messa nella chiesa della Sacra Famiglia, danneggiata pochi giorni fa da un attacco israeliano. Durante l’omelia, ha parlato di “guerra insensata” e ha promesso: “Non sarete dimenticati. Siete nei cuori di tutte le Chiese. Faremo il possibile per fermare questa guerra, e alla fine ce la faremo”.
La celebrazione si è svolta mentre continuavano i bombardamenti nelle aree vicine. “Il primo giorno fa impressione, poi ci si abitua. I colpi più vicini fanno tremare l’edificio, ma nessuno reagisce più. E anche noi, alla fine, non ci facciamo più caso”, ha raccontato il cardinale a Vatican Media. “L’odore delle esplosioni è qualcosa che le immagini non restituiscono. Ma resta”.
Pizzaballa ha parlato di una città in condizioni estreme. “Rispetto alle visite precedenti, colpiscono le distese di tende, soprattutto lungo il mare. Oltre un milione di persone vive senza riparo adeguato, senza igiene, senza cibo”. Nei bambini ha visto “sicuramente la stanchezza, ma anche il desiderio di reagire. Finché c’è qualcuno che vuole cambiare le cose, c’è ancora vita”.
Secondo il Patriarca, la popolazione non ha intenzione di lasciare Gaza. “C’è chi partirà, ma la maggior parte resterà. Non sa dove andare, e non vuole andarsene. Avevano una casa qui, vogliono ricostruirla”. Ha quindi richiamato le parole del Papa: “Non ci saranno riviere a Gaza. Nessun trasferimento forzato”.
Durante il viaggio del cardinale, il conflitto è proseguito con intensità. Lunedì, i carri armati israeliani sono entrati nei quartieri orientali e meridionali di Deir al-Balah per la prima volta dall’inizio della guerra. Le forze israeliane ritengono che in quell’area possano trovarsi alcuni degli ostaggi ancora vivi. L’incursione ha colpito abitazioni e luoghi di culto: almeno tre i morti e diversi i feriti, secondo fonti sanitarie locali.
A Khan Younis, un attacco aereo ha ucciso almeno cinque persone, tra cui una coppia e i loro due figli. Complessivamente, il ministero della Sanità di Gaza ha segnalato almeno 130 morti e oltre 1.000 feriti in 24 ore, uno dei bilanci più alti delle ultime settimane. Cresce intanto l’allarme per la fame. Dall’inizio del weekend, almeno 19 persone sarebbero morte per malnutrizione.
In parallelo, le autorità di Gaza hanno denunciato un’operazione israeliana nei pressi di una struttura della Croce Rossa, nel sud della Striscia. Marwan Al-Hams, responsabile degli ospedali da campo, sarebbe stato arrestato da un’unità sotto copertura. Un giornalista è rimasto ucciso, un altro ferito. Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha confermato di aver assistito alcuni feriti, ma ha preferito non fornire ulteriori dettagli.
Il conflitto si riflette anche sul fronte diplomatico. Papa Leone XIV ha ricevuto una telefonata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. La Sala Stampa vaticana riferisce che il Pontefice ha ribadito “l’obbligo di proteggere i civili e i luoghi sacri, il divieto dell’uso indiscriminato della forza e dei trasferimenti forzati”. Ha inoltre sottolineato “l’urgenza di permettere l’ingresso degli aiuti umanitari” e ha ricordato il decennale dell’accordo bilaterale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina.
Domenica, il Papa aveva già lanciato un appello pubblico al termine dell’Angelus: “Si fermi la barbarie della guerra con una soluzione di pace. Il divieto di punizione collettiva deve essere rispettato”.
“Parole chiare, forti, attese”, ha commentato Pizzaballa. “Non abbiamo nulla contro il popolo ebraico, né vogliamo apparire ostili verso la società israeliana. Ma non possiamo tacere di fronte alla politica condotta in queste settimane dal governo a Gaza. La nostra critica è doverosa”.
Il cardinale ha precisato che l’azione del Patriarcato latino non riguarda solo i cristiani. “Abbiamo visitato la nostra comunità, com’è giusto. Ma le nostre attività – Caritas, ospedali, aiuti – sono rivolte a tutti. Quando era possibile, raggiungevamo oltre 40 mila persone, in maggioranza musulmane. È sempre stato così”.
L’UNRWA, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha dichiarato in un post su X di ricevere “messaggi disperati dallo staff a Gaza, dove la fame è ormai diffusa. I prezzi del cibo sono aumentati di quaranta volte. Eppure, fuori dalla Striscia abbiamo scorte sufficienti per tre mesi. Serve l’accesso sicuro e su larga scala. L’assedio va rimosso”.
Nelle stesse ore, l’esercito israeliano ha fatto sapere di considerare “prioritario il trasferimento degli aiuti” e di operare “in coordinamento con la comunità internazionale”. Ma secondo il ministero della Sanità di Gaza, almeno 67 persone sono state uccise domenica mentre aspettavano gli aiuti delle Nazioni Unite. Il giorno prima erano state 36. Israele parla di “colpi di avvertimento” contro “una minaccia immediata” e contesta l’affidabilità dei numeri forniti da Hamas.
Domenica, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha intanto annunciato di non voler rinnovare il visto a Jonathan Whittall, direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) in Cisgiordania e Gaza, accusandolo di “parzialità anti-israeliana”. Whittall, che operava tra Gerusalemme e Gaza, è stato criticato per aver denunciato pubblicamente le condizioni nei pressi dei punti di distribuzione degli aiuti come “create per uccidere” e per aver parlato di “fame usata come arma” e di “condanne a morte inflitte a civili che cercano solo di sopravvivere”.
Secondo il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric, negli ultimi mesi Israele non ha rinnovato i visti per i vertici di tre agenzie delle Nazioni Unite: OCHA, UNRWA e OHCHR. Tom Fletcher, capo di OCHA e sottosegretario generale dell’ONU per gli Affari Umanitari, ha parlato al Consiglio di Sicurezza di “condizioni indescrivibili” a Gaza, accusando Israele di ostacolare deliberatamente l’ingresso degli aiuti e di non rispettare gli obblighi previsti dalla Convenzione di Ginevra.
Secondo Fletcher, “il 56% dei permessi di ingresso negati nel 2025 riguardava équipe mediche d’emergenza”. L’ambasciata israeliana all’ONU ha replicato accusando le agenzie umanitarie di aver abbandonato la neutralità e di avere legami con Hamas, accusa già rivolta in passato a UNRWA e sempre respinta dall’agenzia.
Il conflitto, cominciato il 7 ottobre 2023 con l’attacco di Hamas in territorio israeliano, ha provocato finora oltre 59.000 morti palestinesi secondo le autorità locali. L’operazione militare di Israele prosegue con l’obiettivo dichiarato di “smantellare Hamas”, ma il prezzo umanitario continua a salire. La popolazione civile, già quasi interamente sfollata, vive senza cibo, senza acqua e senza protezione. E la prospettiva di un cessate il fuoco appare, oggi, più lontana.