Donald Trump cerca di riprendere il controllo. Dopo giorni di pressioni, sospetti, tensioni interne e rivelazioni imbarazzanti, il capo della Casa Bianca ha ordinato alla procuratrice generale Pam Bondi di chiedere alla Corte il via libera per desecretare parte delle testimonianze raccolte dal Grand Jury nel caso Epstein. “Alla luce dell’assurda quantità di pubblicità data a Jeffrey Epstein, ho chiesto al Procuratore Generale Pam Bondi di produrre qualsiasi testimonianza pertinente, previa approvazione della Corte” ha scritto nella notte su Truth Social. Una mossa che sa di parziale retromarcia, dettata più dal panico che dalla trasparenza.
Nello stesso post, Trump ha ribadito la sua intenzione di portare in tribunale il Wall Street Journal, accusandolo di aver pubblicato una “bufala malevola e diffamatoria”. Al centro dello scontro, una lettera del 2003 attribuita a lui e inserita in un album di auguri di compleanno per Jeffrey Epstein, redatto da Ghislaine Maxwell, all’epoca sua compagna e oggi condannata per traffico sessuale. Secondo il giornale, la lettera sarebbe scritta a macchina, decorata con il disegno di una donna nuda stilizzata e conterrebbe frasi allusive come: “Buon compleanno e che ogni giorno possa essere un altro meraviglioso segreto”.
Trump ha negato con forza ogni coinvolgimento: “Li avevo avvertiti personalmente. Eppure continuano a pubblicare falsità. Se ci fosse stato un briciolo di verità, i miei nemici l’avrebbero usata anni fa”.
La Casa Bianca ha confermato che non verrà nominato alcun procuratore speciale per il caso. Ma il segnale è chiaro: Trump sta vacillando sotto le pressioni interne. A peggiorare il quadro, il licenziamento di Maurene Comey, la procuratrice federale che aveva seguito i casi Epstein, Maxwell e Diddy, ha rafforzato l’idea che qualcuno voglia sottrarre all’opinione pubblica gli ultimi frammenti di verità.
Nel frattempo, alla Camera, la Commissione Giustizia ha discusso e bocciato un emendamento che avrebbe imposto la pubblicazione completa dei documenti sul caso Epstein. Lo speaker Mike Johnson, che da giorni si dichiara favorevole alla trasparenza, ha sorpreso molti votando contro. “Serve fare chiarezza per il popolo americano” aveva detto in un’intervista. Poi, quando è arrivato il momento, si è allineato alla Casa Bianca, provocando nuove tensioni tra i repubblicani.
Il malcontento è trasversale. Lara Trump chiede “maggiore trasparenza”, Michael Flynn parla di “un disastro” che va affrontato prima che sia troppo tardi. Influencer come Charlie Kirk e Mike Cernovich faticano a contenere la base. Kirk ha dichiarato: “Nessuno pensa che Trump sia coinvolto”. Ma il problema è proprio questo: più Trump nega, più i suoi stessi sostenitori vogliono sapere cosa ci sia davvero in quei file. Perché Epstein non era solo un predatore, era un collettore di segreti pericolosi. Aveva accesso a Clinton, al principe Andrea, a potenti, miliardari, generali e magnati. E a Trump. È un fatto.
Ora anche Steve Bannon, fino a ieri tra i difensori più accesi del presidente, parla apertamente di “insabbiamento” e accusa l’amministrazione di aver perso credibilità. Dan Bongino, vicedirettore dell’FBI e volto noto del mondo MAGA con i suoi milioni di ascoltatori dei suoi podcast, è in rotta di collisione con Pam Bondi, accusata di aver promesso trasparenza e consegnato silenzi. Joe Rogan, che raramente prende posizione su singoli casi, ha definito la vicenda “una bomba a orologeria” e ha chiesto: “Perché Trump non pubblica tutto, se non ha nulla da temere?”
Ancora più imbarazzante il silenzio di Kash Patel, attuale direttore dell’FBI e per anni simbolo della battaglia per la verità. Aveva giurato che i file su Epstein sarebbero stati resi pubblici “qualunque cosa accada”. Ora tace. E il documento diffuso dall’FBI a febbraio, in cui si afferma che non esiste una lista di amici di Epstein privo di firma e intestazione, pieno di omissioni, è stato accolto come l’ennesima presa in giro.
A peggiorare il clima, c’è l’evidente imbarazzo dei media conservatori. Fox News ha relegato la notizia della lettera in fondo ai notiziari, Breitbart l’ha ignorata del tutto, OANN si è limitata a riportare le dichiarazioni legali di Trump senza mai citare il passaggio più scabroso del messaggio. Giornalisti interni parlano di censura e “ordine di silenzio”. E nella base MAGA il sentimento dominante è uno: se anche la nostra stampa censura, allora cosa ci stanno nascondendo?
L’impressione, sempre più diffusa, è che qualcuno stia proteggendo qualcosa. O qualcuno.
A cinque anni dalla morte di Epstein, nulla è stato chiarito. Le telecamere nella sua cella non funzionavano. Le guardie dormivano. Le registrazioni esterne erano guaste. Nessun video. Nessuna responsabilità. Nessuna verità. Solo un cadavere frettolosamente archiviato come “suicidio”.
E ad aprile, anche Virginia Giuffrè, la supertestimone che aveva accusato Epstein, Maxwell e il principe Andrea, è stata trovata morta nella sua casa in Australia. Anche nel suo caso: suicidio. Nessun biglietto. Nessun dettaglio. Nessuna indagine indipendente.
Ora la Casa Bianca parla di “chiusura definitiva”, ma il caso Epstein continua a sanguinare sotto la superficie. Trump tenta di calmare la tempesta autorizzando Bondi a chiedere una minima divulgazione, ma nessuno ci crede più. Non la base, non i suoi alleati, non gli ex fedelissimi.