In un giardino curato di Austin, Texas, tra orchidee e cocktail pensati per donne in gravidanza, un gruppo di professioniste benestanti si è riunito per ascoltare una nuova promessa del mondo biotech, come riportato dal quotidiano statunitense Washington Post. L’ospite d’onore era Noor Siddiqui, fondatrice di una startup californiana che promette di rivoluzionare la genitorialità attraverso la genetica. L’idea è quella di selezionare gli embrioni migliori prima ancora della nascita, grazie al sequenziamento completo del genoma e a sofisticati algoritmi predittivi.
La sua azienda, Orchid Health, propone un servizio che analizza il DNA delle cellule create tramite fecondazione in vitro, alla ricerca di centinaia di malattie monogeniche e di predisposizioni a disturbi complessi come Alzheimer, bipolarismo o cancro. Per Siddiqui e per un numero crescente di sostenitori nella Silicon Valley, la possibilità di scegliere un figlio “più sano” non è solo un’opzione, ma un diritto. Il sesso, ha spiegato in un video condiviso online, sarebbe ormai una questione di piacere, mentre la riproduzione sarebbe destinata a passare per laboratori e fogli di calcolo.
Tuttavia al momento, i costi sono fuori portata: 2.500 dollari per ogni embrione testato, da sommare ai circa 20.000 di un ciclo di IVF. Un investimento sostenibile per chi già vive immerso nella cultura dei dati, tra anelli biometrici, analisi avanzate e medicina personalizzata. Ma la rapida diffusione di queste metodologie potrebbe presto trasformare la norma stessa della procreazione, sollevando interrogativi profondi su disuguaglianza, eugenetica e controllo sociale.
Il servizio si presenta come una risposta al desiderio, sempre più diffuso, di migliorare la qualità della vita dei futuri discendenti. Secondo i promotori, la tecnologia non serve a creare “super-bambini”, ma a ridurre rischi genetici concreti e documentati. Vari genetisti però avvertono che la tecnica di amplificazione usata per analizzare le cellule embrionali può introdurre errori, rendendo le diagnosi incerte. E la previsione di malattie complesse sulla base di punteggi poligenici è ancora considerata sperimentale, con una capacità di previsione limitata, soprattutto per tratti come l’intelligenza.
C’è poi un altro aspetto: l’accesso esclusivo. Ad avvalersi di questi servizi sono finora individui legati al mondo dell’alta tecnologia e della finanza, dove la narrazione “pronatalista” che incoraggia le élite a fare più figli, trova nuova linfa. Alcuni investitori, come il co-fondatore di PayPal Peter Thiel, sostengono queste aziende in nome di una visione in cui la natalità diventa una leva strategica per il futuro dell’Occidente industrializzato.
Intanto, la rete di cliniche che utilizza Orchid è raddoppiata in un anno e la nascita del primo “Orchid baby” è stata annunciata con entusiasmo sui social. Ma mentre l’interesse cresce, anche le critiche si fanno più forti. C’è chi teme che questa corsa alla selezione genetica possa spingere coppie vulnerabili a scartare embrioni perfettamente sani, o a inseguire illusioni di perfezione biologica.
Siddiqui insiste: quello che oggi sembra controverso, domani rappresenterà la consuetudine. Come la fecondazione assistita, osteggiata agli inizi e ora diffusissima. Ma la domanda resta: fino a che punto si è disposti a riscrivere, cellula per cellula, il futuro della vita?