Scissione (titolo originale Severance) domina. The Studio irrompe. The Pitt sorprende. E The White Lotus, come un rito laico, continua a colonizzare le categorie più prestigiose. Con l’annuncio delle nomination per la 77ª edizione dei Primetime Emmy Awards, la Television Academy ha sancito la definitiva maturazione di un panorama seriale post-pandemico: più stratificato, più saturo, ma anche sempre più incline all’autonarrazione e all’autoanalisi. In un mondo che continua a domandarsi se la “peak TV” sia finita o solo mutata, l’edizione 2025 degli Emmy si configura come uno specchio perfetto del momento: ipercompetitiva, piena di volti noti, ma aperta a voci nuove e audaci, che in altri tempi sarebbero rimaste ai margini.
A tre anni dal debutto, Severance — il thriller metafisico creato da Dan Erickson e diretto da Ben Stiller — torna con una seconda stagione che alza l’asticella sul piano emotivo e visivo, e lo fa portando a casa ben 27 nomination. È la conferma definitiva: si tratta di uno dei prodotti più lucidi, rigorosi e spiazzanti del decennio. Una riflessione disturbante e formalmente impeccabile sulla scissione tra lavoro e identità, tra corpo e controllo. A trainare il successo non sono solo scrittura e regia, ma un ensemble attoriale tra i più coesi della stagione: Adam Scott, Britt Lower, John Turturro, Patricia Arquette, Zach Cherry, Tramell Tillman.
A seguire The Studio, nuova scommessa satirica di Apple TV+ ambientata in una casa di produzione hollywoodiana post-MeToo. Con 23 nomination, tra cui quelle per Seth Rogen, Kathryn Hahn, Catherine O’Hara, Ike Barinholtz e persino Martin Scorsese (guest actor, alla sua prima candidatura da interprete), è la sorpresa prevista: una serie che ha avuto tutto per sfondare – cast stellare, sceneggiatura pungente, marketing intelligente – e che l’ha fatto. È anche il segno che il sistema ama raccontare se stesso quando sa farlo con cinismo, autocritica e una dose controllata di nostalgia.

Ma la vera rivelazione è The Pitt. Un medical drama distopico ambientato in un pronto soccorso urbano devastato dal collasso del sistema sanitario americano. Noah Wyle, in un ritorno iconico al ruolo del dottore (dopo ER), guida la serie con un’interpretazione che gli è valsa la nomination come miglior attore protagonista in un drama. La serie ha ottenuto 13 nomination, guadagnandosi un posto tra i titoli forti dell’anno, grazie anche alla regia millimetrica (due episodi nominati) e a una sceneggiatura che fonde adrenalina e critica sociale con una precisione rara.
Nelle comedy, è ancora una volta The Bear a imporsi con forza, ma il campo si allarga. Oltre a Abbott Elementary, Only Murders in the Building e l’inarrestabile Hacks, figurano anche Shrinking, What We Do in the Shadows, e Nobody Wants This (con Kristen Bell e Adam Brody), un’altra novità che ha saputo smarcarsi con intelligenza dal formato standard della sitcom. Ma è The Studio a dominare anche qui, con nomination multiple per attori protagonisti e non, e una candidatura per miglior regia nella categoria comedy, con l’episodio The Oner, un piano sequenza ironico e vertiginoso.
Sul fronte delle limited series, The Penguin (HBO Max) ottiene 24 nomination, guidando una cinquina competitiva che include Adolescence, Black Mirror, Dying for Sex e Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story. Colin Farrell e Cristin Milioti sono in stato di grazia in The Penguin, noir gotico ambientato nel sottobosco di Gotham City, mentre Adolescence, creatura britannica firmata Jack Thorne e Philip Barantini, incassa il plauso della critica con un racconto brutale e poetico sull’età difficile. La serialità europea, quando riesce a entrare nel circuito USA, dimostra ancora di avere carte potenti.
Tra i momenti simbolici dell’annuncio delle nomination, va segnalato l’ingresso per la prima volta di Ron Howard tra i candidati agli Emmy come attore. Il suo ruolo in The Studio, al fianco di Bryan Cranston, Anthony Mackie, Dave Franco e Martin Scorsese (tutti candidati come guest actor nella stessa serie), è una delle prove più ironiche della stagione. Anche Harrison Ford ottiene la sua prima candidatura nella carriera per Shrinking, dimostrando come l’età non sia più un limite nei ranghi delle performance televisive (lo stesso vale per Kathy Bates, nominata per Matlock).
Ma non mancano gli snob clamorosi. Succession, pur avendo chiuso trionfalmente nel 2024, resta fuori perché al di fuori della finestra di eleggibilità. Ma l’assenza di Shōgun, vincitore dell’Emmy nel 2024 e ancora acclamato in replica, pesa. Altre esclusioni pesanti: nessuna nomination per Bridget Jones: Mad About the Boy nonostante il successo al botteghino internazionale, e nessuna per House of the Dragon nella categoria drama (la seconda stagione, a quanto pare, non è bastata). Anche The Morning Show, un tempo favorita della critica, è stata completamente ignorata.

Tra i record, si segnala l’incredibile presenza di The White Lotus in quasi tutte le categorie di supporto. Walton Goggins, Sam Rockwell, Jason Isaacs, Natasha Rothwell, Carrie Coon, Parker Posey, Aimee Lou Wood: un esercito di volti familiari riuniti sotto l’ombrello di una serie che ormai ha più in comune con Saturday Night Live che con un drama classico. Più che una serie, The White Lotus è diventato un esperimento antologico sul narcisismo collettivo di un certo Occidente in vacanza.
Nel complesso, la lista delle nomination fotografa un ecosistema televisivo che sta cambiando pelle. L’era dello “streaming wars” puro sembra in fase calante, ma la qualità e la densità dell’offerta restano altissime. Apple TV+, HBO, FX, Netflix, Amazon, Hulu: la battaglia è meno visibile, ma più strategica. Le serie premiate sono spesso produzioni corali, dove scrittura, regia e cast si muovono all’unisono. Il divismo si è diluito, e il merito viene distribuito in modo più capillare.
La 77ª edizione degli Emmy andrà in scena domenica 14 settembre, in diretta su CBS e Paramount+, con la conduzione del comico Nate Bargatze. Ma al di là dei premi, il riconoscimento più significativo potrebbe andare a chi saprà spezzare l’incantesimo autoreferenziale della televisione contemporanea — o quantomeno a chi riuscirà a farlo con più grazia degli altri.