Quella che doveva essere la resa dei conti con il “Deep State” si sta trasformando in un boomerang per l’amministrazione Trump. Il caso Jeffrey Epstein, il finanziere condannato per traffico di minori, morto in carcere nel 2019, è tornato a scuotere il mondo MAGA. Ma stavolta, la rabbia non è rivolta contro la sinistra: è un incendio interno alla Casa Bianca trumpiana.
Dopo mesi di teaser, promesse e retorica infuocata su “liste esplosive”, il dossier Epstein diffuso dal Dipartimento di Giustizia si è rivelato un nulla di fatto. Nessun nome nuovo. Nessuna lista clienti. E, soprattutto, nessun video della cella in cui Epstein si è tolto la vita. Le telecamere erano spente, difettose o sovrascritte. Quelle esterne? Guasto. Quelle interne? Problema tecnico. Quelle di backup? Irrecuperabili. E i filmati del primo tentato suicidio? Scomparsi. Le due guardie dormivano e falsificarono i registri. Nessuna ha mai spiegato cosa accadde quella notte. E dinanzi alle mancate spiegazioni il mistero si infittisce e alimentare ancora di più le teorie cospirazioniste che da anni circolano nei meandri del mondo MAGA e QAnon, secondo cui il cosiddetto “deep state” sarebbe controllato da una rete globale di pedofili satanici. George Soros, Hillary e Bill Clinton, Bill Gates: nomi ricorrenti in questo universo parallelo, accusati di aver usato Jeffrey Epstein come burattino per adescare, filmare e ricattare politici, banchieri, star di Hollywood e capi di Stato in tutto il mondo. Secondo queste teorie, le feste del finanziere erano in realtà trappole orchestrate per ottenere materiale compromettente e costruire un sistema di controllo occulto sull’Occidente. Un intreccio di potere, sesso, estorsione e satanismo che, per i più estremisti, ancora oggi continuerebbe a operare dietro le quinte della politica globale.
Nel momento in cui si attendevano conferme o smentite da parte dell’amministrazione Trump, il dossier pubblicato non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco. Un’esplosione alimentata anche dal passato ambiguo del presidente con lo stesso Epstein: i due si conoscevano da decenni, frequentavano gli stessi ambienti mondani, e sono stati ripresi insieme in più occasioni, tra feste private e eventi esclusivi a Mar-a-Lago. Anche se Trump ha più volte cercato di prendere le distanze dopo il suo arresto, la lunga amicizia tra i due resta uno dei punti più oscuri di tutta la vicenda, e per molti è proprio questa la ragione della riluttanza dell’amministrazione a spingere davvero sull’inchiesta.
A firmare il rapporto, la procuratrice generale Pam Bondi e il nuovo direttore dell’FBI Kash Patel. Ma la base MAGA, che aveva fatto del caso Epstein un totem anti-élite, è esplosa. Laura Loomer ha chiesto il licenziamento di Bondi, definendola “una vergogna”. Alex Jones ha parlato di “disgusto totale”. Elon Musk ha ironizzato sul fatto che Trump, mentre chiede di smettere di parlarne, “cita Epstein sei volte”: “Pubblica i file come promesso”, ha scritto.
Secondo Axios, anche Dan Bongino, vicedirettore dell’FBI e volto noto del trumpismo mediatico, avrebbe minacciato di dimettersi per protesta contro la gestione Bondi. La definizione ricorrente tra i suoi collaboratori: “Un disastro politico”.
Di fronte al caos, Trump ha scelto il contrattacco. In un lungo post su Truth Social, ha difeso Bondi (“sta facendo un lavoro fantastico!”), attaccato gli “egoisti” del movimento MAGA e accusato la sinistra radicale di aver fabbricato i cosiddetti “file Epstein”. Li ha paragonati al dossier Steele del Russiagate: “Scritti da Obama, Hillary, Comey, Brennan e i criminali dell’amministrazione Biden”. Ha quindi invitato l’FBI a “lasciare Epstein” e concentrarsi su frodi elettorali, ActBlue e “le elezioni rubate del 2020”.
Ma i nodi sono tanti. A febbraio, Bondi aveva dichiarato su Fox News di avere la lista sulla scrivania. A marzo, aveva promesso “tutto verrà reso pubblico”. Invece, il dossier consegnato a mano a una manciata di influencer MAGA non ha rivelato nulla. Bondi ha giustificato l’assenza dei video dicendo che contenevano “materiale pedopornografico” e non saranno mai divulgati. Ma ormai, la fiducia si è sgretolata.
E c’è di più. Tra le pieghe delle teorie più estreme, torna a circolare il sospetto che i servizi britannici abbiano fatto sparire testimoni scomodi. Il caso più clamoroso è la morte di Virginia Giuffrè, storica accusatrice del principe Andrea. Trovata priva di vita nella sua casa in Australia il mese scorso, le autorità parlano di suicidio. Ma in rete – e non solo – si moltiplicano i sospetti sull’MI6.
La linea della Casa Bianca è chiara: archiviare tutto. Ma la base MAGA non si lascia placare. E il sospetto che qualcosa sia stato insabbiato sta creando fratture difficili da ricomporre. Il caso Epstein, che per anni era stato arma retorica contro i Democratici, ora si ritorce contro chi aveva promesso di rivelarne i segreti.
E mentre i dossier evaporano, i video spariscono e le morti si accumulano, una domanda resta sospesa, scomoda e corrosiva: chi aveva paura di Jeffrey Epstein?