Con una raffica di annunci, lettere e minacce pubblicate su Truth Social e rilanciate ai microfoni di NBC News, il presidente Donald Trump ha ufficialmente riaperto il fronte della guerra commerciale. Una nuova ondata di dazi colpisce partner storici come il Canada e il Brasile, mentre l’Unione Europea attende con il fiato sospeso il proprio turno. Il tutto in un clima di tensione diplomatica e di instabilità economica che rischia di trascinare il mondo in un’altra stagione di scontri a botte di tariffe.
Il colpo più duro, per ora, lo incassa Ottawa. Trump ha annunciato un’imposizione di dazi generalizzati del 35% su oltre metà delle esportazioni canadesi verso gli Stati Uniti, a partire dal 1° agosto. In una lettera indirizzata al primo ministro Mark Carney, ha accusato il Canada di pratiche commerciali sleali e di non fare abbastanza per fermare il contrabbando di fentanyl verso gli USA. “Se il Canada collabora con me per fermare il flusso di fentanyl, forse prenderemo in considerazione una modifica a questa lettera”, ha scritto il presidente. Una minaccia commerciale mascherata da pretesa di sicurezza nazionale, smentita dai numeri: meno dell’1% del fentanyl sequestrato alle frontiere americane nel 2024 proviene dal confine nord.
Carney ha risposto in tono diplomatico, ribadendo l’impegno del suo governo a collaborare e difendere l’economia canadese. “Abbiamo fatto progressi fondamentali. Difenderemo con fermezza i nostri lavoratori e le nostre imprese”, ha dichiarato. I negoziati tra i due paesi proseguiranno fino alla nuova scadenza fissata dallo stesso Trump: il 1° agosto.
Il Canada non è solo. Trump ha annunciato dazi del 50% per il Brasile, accusando il paese di “persecuzioni politiche” contro Jair Bolsonaro, che ha definito “trattato ingiustamente”. E ha aggiunto che “forse” parlerà con i rappresentanti di Brasilia “a un certo punto”, lasciando intendere che i dazi potrebbero diventare uno strumento di pressione politica. Anche l’Unione Europea è nel mirino. In un’intervista alla NBC, Trump ha dichiarato di voler imporre dazi tra il 15% e il 20% alla maggior parte dei partner commerciali americani. L’UE, ha fatto sapere il negoziatore Maroš Šefčovič, spera ancora di evitare l’ennesima lettera minatoria da Washington, ma si prepara al peggio.
Dietro la nuova ondata di dazi, c’è la strategia collaudata di Trump: minacciare, colpire, trattare. Un funzionario della Casa Bianca ha ammesso che i dazi annunciati colpirebbero solo i beni non conformi all’accordo USMCA del 2020. Ma nulla è certo: “Non sono state prese decisioni definitive da parte del Presidente”, ha detto Simon Lester, esperto del Baker Institute, al Wahington Post che ha definito la mossa «una tattica negoziale». Ma i mercati non l’hanno presa bene. Gli indici azionari sono scesi, riflettendo il timore di una nuova spirale protezionistica globale.
Quando le minacce non si concretizzano, smettono di far paura. È il rischio che corre Donald Trump: a forza di alzare la voce sui dazi senza colpire davvero, i mercati non lo prendono più sul serio. Ma se questa volta facesse sul serio? Il dazio del 50% minacciato contro il Brasile, se Lula non “riabilita” Bolsonaro, è un esempio di politica estera mascherata da protezionismo. È un ricatto, non una strategia commerciale. E lo schema si ripete: contro l’ONU, contro chi indaga Netanyahu, contro la Spagna se mette in discussione la NATO.
Il nodo è tanto politico quanto legale. In teoria, è il Congresso ad avere l’ultima parola sui dazi, ma Trump si appoggia a una legge d’emergenza del 1977 per aggirare il controllo parlamentare. Una corte federale ha già sollevato dubbi sulla legittimità di questo approccio, e la questione è ora destinata ad approdare alla Corte Suprema. Nel frattempo, il presidente prosegue nel suo uso muscolare del commercio come strumento di pressione internazionale, ribadendo che “i dazi sono stati accolti molto bene”. E intanto attacca anche la Fed: “Powell sta facendo un pessimo lavoro. I tassi dovrebbero essere tre punti più bassi”, ha detto mentre si imbarcava sull’elicottero per andare in Texas.
Gli osservatori internazionali vedono nella guerra dei dazi una nuova forma di populismo economico. Un mix di muscoli commerciali, retorica identitaria e uso strumentale della politica estera. La Cina ha condannato le mosse di Trump, affermando che “i dazi non devono essere usati come strumento di coercizione o interferenza negli affari interni”.
Ma le lamentele dei paesi al centro della guerra commerciale poco interessano al capo della Casa Bianca che continua a rivendicare successi. “Ho firmato il grande disegno di legge, non devo nemmeno promuoverlo, è stato accolto così bene”, ha detto, rilanciando il concetto della “reciprocità” commerciale come priorità strategica.
Alcuni economisti ironizzano. Justin Wolfers, professore a Michigan intervistato dal Daily Kos, ha definito la strategia tariffaria di Trump un misto di adolescenziale insicurezza e improvvisazione.
Ma il rischio è reale. Se il presidente darà seguito alla sua minaccia di imporre dazi generalizzati a tutti i partner commerciali, l’economia globale potrà entrare in una nuova fase di incertezze dettate dalle ritorsioni incrociate.
Dopo aver promesso 90 accordi in 90 giorni, Trump ha messo in circolo minacce, dazi punitivi e pressioni politiche. La nuova danza dei dazi è appena cominciata, ma stavolta, a differenza del passato, potrebbe trovare interlocutori pronti a restituire il colpo.