Buoni rapporti personali e affinità ideologiche o disaccordi politici e odio: ecco, a grandi linee, come si divide il mondo per Donald Trump. Ne sa qualcosa Lula, il presidente brasiliano, che vede l’America entrare a gamba tesa sulle questioni interne del suo paese: ferma il processo a Bolsonaro o tassiamo le tue merci con i dazi. La realtà ha da tempo superato la fantasia. Il presidente di El Salvador Nayib Bukele, dittatore (con tassi di approvazione record) che incarcera sommariamente migliaia di persone e che provò a mettere il bitcoin come moneta nazionale, si annovera di diritto fra gli amici di The Donald.
Bukele, nel rinnovato interesse di Washington per l’America Latina, rappresenta l’amico perfetto, soprattutto quanto alla deportazione di migranti. Una portavoce della Casa Bianca ha affermato che l’amministrazione è “grata per la collaborazione del presidente Bukele” e per aver concesso l’uso della sua prigione di massima sicurezza, “non c’è posto migliore per questi criminali malati e illegali”.
Secondo un’inchiesta del New York Times, l’amministrazione Trump avrebbe pagato 5 milioni di dollari a El Salvador per l’incarcerazione di più di 200 venezuelani che vivevano negli Usa. Non solo, il governo americano avrebbe deportato anche alcuni prigionieri di particolare interesse per il presidente salvadoregno, ovvero alcuni leader della MS-13 che erano già detenuti negli Stati Uniti. Alcuni dei quali conoscerebbero i legami fra Bukele e le gang salvadoregne, a questo proposito ci sarebbero alcune prove trovate dagli inquirenti americani, ma la questione viene negata da entrambe le parti.
Altro favore è arrivato sul piano del rating di El Salvador, il Dipartimento di Stato ha infatti elevato il livello del paese centroamericano citando un “calo nei crimini violenti e negli omicidi”. Un fatto veritiero ma che accomuna paesi come Francia e Spagna con El Salvador, nonostante abbiano livelli di criminalità uguali o inferiori. Nel 2023, il paese di Bukele aveva “gravi problemi di diritti umani”, secondo il Dipartimento di Stato. Il tempismo nel cambiamento di rating – poco dopo l’arrivo dei deportati dagli Usa e dopo l’incontro fra Bukele e il Segretario di Stato Marco Rubio – ha reso chiaro il movente politico. Il livello ottenuto è il numero 1, ovvero quello di paese più sicuro possibile.
Non solo, a fronte di un taglio netto delle protezioni temporanee riservate ad alcuni gruppi di immigranti residenti negli Stati Uniti, i salvadoregni continuano a godere di questo status, che gli consente di rimanere nel paese. Altri immigrati, provenienti da Haiti, Venezuela, Honduras e Nicaragua, sono stati privati della protezione, fatto che li ha resi cittadini illegali e quindi a rischio deportazione. Un’incredibile disparità.
L’amicizia fra Trump e Bukele gode quindi di ottima salute, invito e accoglimento nello Studio Ovale, e mancanza di critiche verso le politiche del presidente salvadoregno, legittimato ad arrestare critici e a far fuggire i giornalisti contrari al suo regime.
Inevitabile poi che altri paesi vogliano imitare il collega, destinato a soffrire la concorrenza dei vicini. «Altri leader e paesi stanno cercando di emulare l’accordo con Bukele», afferma Iván Espinoza-Madrigal, direttore del gruppo Lawyers for Civil Rights, con sede a Boston, che ha rappresentato immigrati in cause legali contro l’amministrazione Trump. I paesi, ha aggiunto, stanno sempre più «alzando la mano per offrire le loro strutture carcerarie e facilitare la deportazione delle persone».