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“Dov’è la lista?” Il tormentone dell’estate MAGA

Il caso Epstein continua a tenere banco. Steve Bannon: "Insabbiamento consapevole"

Massimo JausbyMassimo Jaus
Caso Epstein: Deutsche Bank pagherà $75 milioni alle vittime di abusi

Jeffrey Epstein - ANSA

Time: 5 mins read

Quella che doveva essere la grande resa dei conti si sta trasformando in un boomerang politico. Per anni, il mondo MAGA ha alimentato la narrativa di un insabbiamento da parte dei Democratici: George Soros, i Clinton, Bill Gates, le élite globaliste, il deep state, tutti parte, secondo le teorie più diffuse, di un mondo pedofilo protetto dalla burocrazia federale.

Podcaster influenti come Dan Bongino, Steve Bannon, Charlie Kirk, Jack Posobiec e Benny Johnson hanno martellato per mesi sull’idea che l’amministrazione Biden stesse occultando la verità su Epstein per proteggere i potenti amici che manovrano il mondo. Epstein era la chiave, il nodo, il detonatore. Ma ora che la macchina della giustizia è guidata da Pam Bondi e Kash Patel, scelti personalmente da Donald Trump per il suo secondo mandato, la frustrazione è esplosa. I documenti tanto attesi sono arrivati, ma non contengono alcuna rivelazione. I video sono scomparsi. La famosa lista? “Non esiste.” E così, il mondo MAGA, che per mesi aveva puntato il dito contro gli altri, è costretto a guardare dentro casa propria. E non si fida più. Il dossier non è vuoto perché non ci siano prove, ma perché qualcuno lo ha svuotato.

E allora la domanda sussurrata in rete diventa sempre più forte: e se la lista fosse reale, ma fosse stata cancellata per proteggere qualcuno? E se i video non fossero mai spariti per caso, ma fatti sparire intenzionalmente? Dopo le accuse pubbliche di Elon Musk, che dopo essere stato allontanato dalla Casa Bianca ha lasciato intendere che Trump stesso potesse essere coinvolto, il sospetto serpeggia anche tra i fedelissimi: che la narrazione del “nulla da rivelare” non sia altro che una nuova copertura, stavolta per difendere non il deep state… ma il proprio presidente.

Tutto era cominciato con promesse altisonanti. In un’intervista a Fox News, a febbraio, il procuratore generale Bondi dichiarò: “La lista è sulla mia scrivania”. Una frase che fece il giro dei social, alimentando l’idea che l’amministrazione Trump stesse per rendere pubblici i nomi dei potenti coinvolti con Epstein. Poche settimane dopo, durante una riunione di Gabinetto, Bondi ritrattò: “Mi riferivo al fascicolo generale su Epstein, JFK e MLK.” Ma il danno era fatto.

Kash Patel, prima ancora di essere nominato direttore dell’FBI, in un’intervista a Benny Johnson nel dicembre 2023 dichiarava: “Semplice, la lista non esce a causa di chi c’è sopra. Non penserà che Bill Gates faccia pressioni giorno e notte sul Congresso per impedirne la divulgazione?” E poi attaccava i suoi compagni di partito: “Che diavolo stanno facendo? Hanno la maggioranza e non riescono a ottenere la lista? Mettetevi i pantaloni da adulti e fateci sapere chi sono i pedofili.”

Persino Dan Bongino, ex podcaster ora vicedirettore dell’FBI, che nel 2024 dichiarava: “La lista dei clienti distruggerà il Partito Democratico,” oggi allinea la sua versione a quella ufficiale: Epstein si è suicidato, la lista non esiste. Ma le sue parole di allora sono tornate a morderlo.
In una puntata del suo podcast, Bongino affermava: “C’è un motivo per cui stanno nascondendo tutto. Il mondo politico sarà scosso.” Ora, quella scossa non arriva. E la base lo accusa di essersi “convertito al sistema”.

Steve Bannon/ANSA

Steve Bannon, invece, ha deciso di non arretrare. Nei suoi podcast, parla di “insabbiamento consapevole” e accusa apertamente alcuni membri dell’entourage trumpiano di aver trasformato il caso Epstein in un’arma spuntata. “Trump ha promesso di fare pulizia,” ha detto, “ma se adesso copre gli stessi che diceva di voler combattere, allora la base ha tutto il diritto di voltargli le spalle.” Poi ha rincarato: “Se la lista è stata fatta sparire, la tireremo fuori noi. Con ogni mezzo necessario.”

Nel frattempo, la senatrice Marsha Blackburn ha fatto della pubblicazione della “lista” una crociata personale. “La responsabilità di questi predatori arriverà,” ha scritto sui social. Ma la “Fase 1” dei documenti, pubblicata a febbraio, ha deluso anche lei: raccoglitori etichettati “Classificato – Epstein” distribuiti a influencer di destra non contenevano nulla di nuovo.

Il fronte dei delusi è ampio. Elon Musk ha scritto: “Come si può pretendere che la gente si fidi di Trump se non pubblica i documenti su Epstein?” Tucker Carlson ha parlato di “presa in giro”. Steve Bannon ha detto chiaro: “Non è per questo che la gente ha votato Trump. Questo è il sistema, non la sua rottura.” Anche la deputata Marjorie Taylor Greene è intervenuta: “Nessuno crede che non esista una lista clienti di Epstein.”

Durante una riunione di Gabinetto, un giornalista ha chiesto a Trump chiarimenti. La sua risposta ha gelato tutti: “Si parla ancora di questo tizio, di questo maniaco? È incredibile.”

A rendere tutto più cupo, resta l’enigma dei video. Epstein morì nella sua cella di massima sicurezza al MCC di New York. Ma le telecamere? Spente o difettose. Quelle esterne? Guasto. Quelle interne? Problema tecnico. Quelle di backup? Sovrascritte. I video di un precedente tentato suicidio? Spariti. Le due guardie dormivano e falsificarono i registri. Nessuna ha mai raccontato cosa è successo quella notte. Bondi ha giustificato l’assenza dei video dicendo che contenevano “materiale pedopornografico” e non saranno mai divulgati. Ma ormai, la fiducia è evaporata.

E come se non bastasse, la teoria più estrema è tornata a circolare: i servizi segreti britannici avrebbero avuto un ruolo nel silenziare testimoni chiave. Il sospetto è esploso dopo la morte improvvisa, ufficialmente suicida, di Virginia Giuffrè, la donna che per anni aveva accusato il principe Andrea. Trovata priva di vita nella sua casa in Australia il mese scorso, la sua morte è apparsa troppo comoda per essere ignorata. Per molti, l’MI6 ha colpito.

Bondi accusa l’FBI di New York di averle nascosto i fascicoli. “Ho dato loro una scadenza per venerdì alle 8:00,” ha dichiarato a marzo. “Un carico di documenti è arrivato al DOJ.” Ma i documenti, ancora una volta, non contenevano prove né nomi nuovi. Solo migliaia di pagine già analizzate da giornalisti come Julie Brown del Miami Herald, che continua a sostenere: “La lista dei clienti è un’invenzione monetizzata dai complottisti online.”

La frustrazione non è più solo virtuale. È nelle audizioni al Congresso, nei microfoni dei podcast, nei sondaggi che mostrano una base inquieta, nei social media dove le accuse rimbalzano con furia. Il caso Epstein è diventato un punto di rottura: non solo perché mancano risposte, ma perché manca la volontà, o il coraggio, di cercarle davvero. E allora la domanda si fa inevitabile: mentivano allora, o mentono adesso?

La commentatrice conservatrice Liz Wheeler, una delle destinatarie dei raccoglitori “Fase 1”, ora accusa Pam Bondi di aver usato quella distribuzione come “copertura estetica” per nascondere il nulla. “Definirla una grave mancanza di giudizio è un eufemismo,” ha detto, denunciando come Bondi le avesse parlato apertamente dello zampino dello stato profondo, salvo poi negare tutto mesi dopo. Ora ne chiede il suo licenziamento immediato.

Anche Rogan O’Handley (DC_Draino) e Chaya Raichik (Libs of TikTok), inizialmente entusiasti, si sono detti “traditi e confusi”. “Epstein non si è suicidato e non si è prostituito,” scrive Handley. “Ogni influencer presente quel giorno prova la stessa rabbia: vogliamo la lista dei clienti e gli arresti. Non comunicati. Giustizia.”

Jack Posobiec, altro nome centrale del mondo MAGA, è categorico: “Ci avevano detto che sarebbero arrivate altre informazioni. Che le risposte c’erano. Incredibile quanto male sia stato gestito tutto questo. E non deve finire così.”

Il risultato è devastante: non solo il caso Epstein è stato derubricato a “archivio vuoto”, ma ha incrinato il patto implicito tra Trump e il suo elettorato più radicale. Quelli che un tempo credevano che Trump avrebbe sfidato il sistema, oggi sospettano che stia proteggendo proprio il cuore corrotto di quel sistema.
Per i fedelissimi, il paradosso è insopportabile: e se davvero non ci fosse nulla da rivelare, oppure, peggio ancora, se le velate accuse di Musk siano state nascoste per proteggere qualcuno che sta troppo in alto, forse proprio dentro la Casa Bianca?

 

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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