In un’aula di tribunale del New Hampshire si è consumata giovedì una battaglia legale destinata a fare storia: il giudice federale Joseph LaPlante ha bloccato l’ordine esecutivo del presidente Donald Trump che vieta la cittadinanza per nascita ai figli di immigrati senza documenti o temporaneamente presenti negli Stati Uniti. Una decisione potente, pronunciata con fermezza: “La cittadinanza statunitense è il più grande privilegio che esista al mondo”, ha dichiarato il giudice, nominato da George W. Bush.

La sua ingiunzione preliminare, seppur sospesa per sette giorni per consentire all’amministrazione di fare ricorso, rappresenta il primo vero test alla recente sentenza della Corte Suprema che ha ristretto il potere dei tribunali inferiori di emettere ingiunzioni universali, aprendo però alla possibilità di blocchi attraverso azioni collettive. È proprio su questa strada presa dal tribunale di Concord: certificando una class action nazionale composta da tutti i bambini nati dopo il 20 febbraio e colpiti dall’ordine, il giudice LaPlante ha aggirato il nuovo limite imposto dall’Alta Corte e riaperto il fronte giudiziario.
Il caso è stato portato avanti dall’ACLU e riguarda, tra gli altri, una donna honduregna incinta in attesa di asilo e un uomo brasiliano in attesa della green card. Nessun genitore è stato incluso nella classe certificata, per evitare di compromettere l’azione legale con le diverse situazioni giuridiche degli adulti. “Non c’è tempo per la discovery”, ha detto il giudice riferendosi all’iter probatorio che in casi simili richiederebbe mesi.
Il blocco dell’ordine di Trump arriva in un contesto infuocato. Dopo la sentenza del 27 giugno, la Corte Suprema aveva dato 30 giorni al governo federale per iniziare ad applicare la misura, una moratoria che scadrà il 27 luglio. Ma l’amministrazione si è già detta pronta a partire “immediatamente” con la preparazione delle linee guida. Il timore, per gli avvocati dei ricorrenti, è che oltre 150.000 bambini l’anno possano diventare apolidi, esclusi da qualsiasi documento di identità, numero di previdenza sociale, diritto di voto, accesso al lavoro pubblico o a cariche elettive.
Il provvedimento firmato da Trump il primo giorno del suo secondo mandato – intitolato “Proteggere il significato e il valore della cittadinanza americana” – punta a escludere dalla cittadinanza automatica tutti i neonati da genitori privi della cittadinanza o della residenza permanente. Ma per il giudice LaPlante, ciò “contraddice il testo del Quattordicesimo Emendamento” e “costituisce un danno irreparabile”.
Una crepa nella muraglia legale costruita da Trump? Forse. Ma i conservatori della Corte Suprema, in particolare i giudici Alito e Thomas, hanno già messo in guardia contro il rischio che le azioni collettive diventino “mascheramenti” delle ingiunzioni universali. Se la decisione di LaPlante sarà confermata o rovesciata nei prossimi passaggi, lo decideranno proprio i supremi giudici nei prossimi mesi. Intanto, il conto alla rovescia verso il 27 luglio, data fatidica in cui la norma potrebbe teoricamente entrare in vigore, è già cominciato.
“Mi sembra che siamo gli unici ad avere fretta”, ha scherzato LaPlante in aula. Ma non c’è nulla di comico nella posta in gioco: il diritto alla cittadinanza, per ora, è salvo. Ma il verdetto finale arriverà solo con il prossimo mandato della Corte Suprema. E quella battaglia sarà definitiva.