È il drammone dell’estate, il tormentone che scalda le discussioni sotto l’ombrellone più di quello sui dazi di Trump o delle prossime elezioni per il sindaco di New York. Il caso Jeffrey Epstein, creduto sepolto, è riesploso con la violenza di una granata nel cuore della Casa Bianca. E questa volta non per nuove rivelazioni, ma per quello che manca: nessuna lista clienti, nessun omicidio, nessuna cospirazione. Solo un memorandum dell’FBI, asciutto e definitivo, che dice: “Epstein si è suicidato.” Fine della storia. Non ne parliamo più. O almeno così vorrebbe la ministra della Giustizia. Ma quel verdetto ha fatto saltare i nervi al mondo MAGA, soprattutto alla sua ala più radicale. Per anni avevano indicato in Epstein l’anello mancante tra il potere corrotto e la pedofilia di Stato. Ora scoprono che a mettere la parola fine è proprio l’amministrazione che loro hanno contribuito a portare al potere. L’FBI è nelle mani di Kash Patel e Dan Bongino, il Dipartimento di Giustizia in quelle di Pam Bondi, fedelissima di Trump. Eppure, la verità, sostengono, è ancora sepolta, come la reputazione di chi aveva promesso di portarla alla luce.
La prima a rompere il silenzio è stata Laura Loomer, l’influencer trumpiana nota anche per aver sostenuto che gli haitiani dell’Ohio mangiano i gatti dei vicini. Oggi è la voce dell’ira più accesa contro Bondi, accusata di voler fare carriera a Fox News più che giustizia. “Pam Bondi ci ha mentito, vuole solo diventare la Barbie di Fox News,” ha detto Loomer, chiedendo le sue dimissioni.
A febbraio, Bondi aveva giurato che la famosa “lista dei clienti” di Epstein era sulla sua scrivania. Poi, dopo mesi di attesa, ha ritrattato, dicendo che parlava di altri documenti, tipo JFK e Martin Luther King. E ha spiegato che i video mancanti della cella sono scomparsi per un “normale reset notturno”. Ma quelle registrazioni non sono mai riemerse. Epstein era detenuto in una cella di massima sorveglianza al Metropolitan Correctional Center di New York, ma la notte del 10 agosto 2019 le telecamere non registravano. Quelle esterne avevano un guasto. Quelle interne hanno avuto un “problema tecnico”. I video di backup sono stati “accidentalmente cancellati”. E perfino il filmato di un tentato suicidio precedente è sparito, sovrascritto per errore.
Le due guardie in servizio, Tova Noel e Michael Thomas, non controllarono mai la cella come previsto. Dormivano e navigavano online. Poi falsificarono i registri. Sono state incriminate, ma hanno evitato il carcere con un patteggiamento. Nessuna ha mai raccontato pubblicamente cos’è successo quella notte.
Troppi errori, troppi silenzi, troppa opacità. Il fronte della rivolta si è allargato.
How can people be expected to have faith in Trump if he won’t release the Epstein files?
— Elon Musk (@elonmusk) July 8, 2025
Elon Musk, da ex alleato a nuovo oppositore di Trump, ha scritto su X: “Come si può pretendere che la gente abbia fiducia in Trump se non pubblica i documenti su Epstein?”. Poi ha aggiunto che la gestione del caso è stata “la goccia che fa traboccare il vaso”.
Tucker Carlson, ex volto di punta di Fox News, ha definito il memorandum “un insabbiamento”. “Il presidente aveva promesso di dire la verità – ha detto nel suo podcast – e Pam Bondi aveva giurato: ‘La lista è sulla mia scrivania’. Ora ci dicono che non c’è nulla? È una presa in giro.”
Steve Bannon è stato ancora più diretto: “Dobbiamo smantellare questi apparati. Sono corrotti e ricattabili.”
A quel punto, anche Fox News ha fatto sentire la sua voce. In prima serata è comparso uno striscione: “Abbiamo bisogno di risposte su Epstein.” La deputata repubblicana Anna Paulina Luna ha chiesto la desecretazione totale dei file. Mike Lindell, alleato di ferro di Trump, ha parlato di “una farsa”.
E Trump? Incalzato dai giornalisti durante una riunione di Gabinetto, ha perso la pazienza: “State ancora parlando di Jeffrey Epstein? Fatevene una ragione.” Una risposta che ha gelato chi si aspettava ben altro.
Dan Bongino, che da podcaster urlava al complotto, oggi da vicedirettore dell’FBI dice che “ha visto tutto” e che “Epstein si è suicidato”. Kash Patel si allinea. Ma la base non ci crede più e li vede con sospetto, come allineati per coprire la scottante “verità”.
“Abbiamo un gabinetto da reality show – ha detto Loomer -. Gente messa lì perché ha un podcast, non perché sa fare il proprio lavoro.”
La frattura è profonda. Musk, Carlson, Bannon, Loomer, Lindell, Luna. Il fronte dei delusi è vasto. Alcuni, come Musk, suggeriscono che nella lista ci fosse anche Trump. Altri lo escludono, ma tutti pretendono trasparenza. Nessuno si accontenta di un archivio chiuso e dei video scomparsi.
Bondi intanto si difende, affermando che i video non verranno mai pubblicati perché contengono materiale pedopornografico, scaricato dal disgustoso archivio digitale di Epstein. “Non vedranno mai la luce del sole,” ha detto. Ma il punto è proprio questo. Il caso Epstein non è più solo una teoria del complotto. È diventato uno specchio. E nel riflesso, il movimento MAGA vede le proprie contraddizioni, i propri tradimenti, le promesse mancate. Non si fidano più nemmeno dei loro, di quelli che avevano giurato di rendere tutto pubblico.
Ora, a gettare ulteriore benzina sul fuoco, è tornata a circolare la vecchia ma mai sopita teoria, secondo cui i servizi segreti britannici avrebbero avuto un ruolo attivo nel silenziare potenziali testimoni legati al caso Epstein. I sospetti si sono riaccesi dopo la misteriosa morte di Virginia Giuffrè, la donna che per anni aveva accusato il principe Andrea di aver abusato di lei quando era ancora minorenne. Ufficialmente suicida, trovata priva di vita nella sua abitazione in Australia il mese scorso, la sua scomparsa è considerata da molti troppo comoda, troppo improvvisa, troppo carica di implicazioni.
Alcuni ambienti cospirazionisti, ma anche testate conservatrici, hanno suggerito che l’intelligence britannica avrebbe avuto tutto l’interesse a evitare nuove deposizioni o desecretazioni che potessero coinvolgere Buckingham Palace. In quel contesto, la morte di Epstein nel 2019 e quella della Giuffrè nel 2025 sembrano improvvisamente parte dello stesso schema. Due testimoni chiave, scomparsi. Due silenzi definitivi, che continuano a generare domande.
Jeffrey Epstein è morto nel 2019, ufficialmente per suicidio. Ma il suo fantasma è più vivo che mai. E a ogni estate, a ogni ombra, torna a infestare la politica americana. Anche quest’anno, sotto l’ombrellone, il nome da sussurrare con rabbia è sempre lo stesso: Epstein.