Il vertice BRICS si chiude senza particolari scossoni o svolte. Gli 11 Paesi membri dell’organizzazione antitetica al blocco occidentale, che si muove con il teorico proposito di “de-dollarizzare” l’economia mondiale, hanno fatto prevalere la cautela. Che non fosse l’occasione giusta per alzare ulteriormente il tiro era emerso dall’assenza del presidente cinese Xi-Jinping. Secondo alcuni la causa sarebbe un battibecco avvenuto settimane fa con la moglie del presidente brasiliano Lula, colpevole, a una cena di stato a Pechino, di aver fatto domande e critiche al leader cinese sul funzionamento dell’algoritmo di Tik Tok. Secondo altri, l’assenza è da imputarsi al non voler inasprire la situazione con gli Stati Uniti nel bel mezzo della guerra commerciale in atto. In ogni caso, la mancata partecipazione di Xi-Jinping pesa moltissimo anche sull’efficacia mediatica del summit, è chiaro poi che Pechino abbia preferito non ingaggiare nuovi scontri con Washington.
Il freno messo dalla Cina è stato comune a tutto il vertice. L’esperienza di Rio de Janeiro non è stata l’occasione di un rilancio nella sfida all’ordine globale. Nella dichiarazione finale sono stati usati toni pacati e poco violenti, per evitare frizioni con gli Stati Uniti. Trump dal canto suo ha promesso un aumento dai dazi del 10% per i Paesi che fanno parte dell’organizzazione. Minaccia alla quale hanno fatto seguito le reazioni di Cina e Russia: i BRICS “non puntano ad alcun tipo di confronto” ha detto da Pechino la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning; “l’interazione nel quadro dei BRICS non è mai stata e non sarà mai rivolta contro alcun paese terzo” hanno fatto sapere dal Cremlino. Inevitabile la necessità di buttare acqua sul fuoco della guerra commerciale, motivo per cui i progetti volti a scalzare il dollaro dal ruolo di moneta di riferimento per gli scambi globali non sono proseguiti concretamente.
La critica alla politica commerciale americana è stata quindi moderata. A tal proposito il documento finale ha espresso “serie preoccupazioni per l’aumento di misure tariffarie e non tariffarie unilaterali che distorcono il commercio e sono incompatibili con le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio”. Analoga attenzione a tenere bassi i toni del dialogo è avvenuta sulla questione mediorientale e iraniana. Sono stati condannati “gli attacchi militari contro la Repubblica Islamica dell’Iran dal 13 giugno 2025” ed è stata manifestata “profonda preoccupazione per l’escalation successiva della situazione di sicurezza in Medio Oriente”, ma non ci sono state menzioni esplicite né agli Stati Uniti né a Israele. C’è stata di contro una critica molto velata ad alcuni attacchi russi rivolti all’Ucraina, ma senza mai nominare esplicitamente la Federazione Russa. Più deciso invece il sostegno alla popolazione di Gaza. È stata espressa una condanna verso “tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario, incluso l’uso della fame come metodo di guerra” e “i tentativi di politicizzare o militarizzare l’assistenza umanitaria”.
Sulla questione di Gaza si è però finito per consumare un mini-scontro fra l’Iran e i Paesi BRICS. Nel documento finale viene infatti affermato con forza il sostegno alla soluzione a due Stati nel rispetto dei confini del 1967 come unico modo per garantire pace e stabilità. Un dito nell’occhio per Teheran, che dopo aver visto la condanna moderata all’aggressione statunitense sul suo territorio, per bocca del ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha dichiarato su Telegram che il suo Paese “esprime riserve” sulla proposta di una soluzione a due Stati, motivo per cui promette di inviare una nota di opposizione al testo. Araghchi ha aggiunto che “la Repubblica islamica dell’Iran ritiene che una soluzione giusta per la Palestina sia un referendum con la partecipazione di tutti gli abitanti originari, compresi ebrei, cristiani e musulmani, e che questa non sia una soluzione irrealistica o irraggiungibile”. Durante i negoziati sulla stesura del testo finale è emerso anche che l’Iran ha fatto forti pressioni affinché i bombardamenti subiti da Israele e Stati Uniti venissero condannati più duramente.
Il motivo di tale cautela può essere attribuito all’aggressività dell’America a guida Donald Trump, con tutto il suo bagaglio di imprevedibilità. Vengono poi fuori le differenze di un gruppo di paesi guidati sì da un proposito anti-americano e anti-occidentale, ma fatto di attori che finiscono per dover perseguire i propri interessi particolari.