Il caso di Kilmar Abrego Garcia, l’operaio saldatore del Maryland espulso per errore a marzo e poi riportato negli Stati Uniti, si complica ulteriormente. Giovedì, il Dipartimento di Giustizia ha presentato un’istanza in tribunale dichiarando di volerlo processare per traffico di esseri umani in Tennessee prima di procedere a una nuova espulsione. Questa volta non sarà verso El Salvador, suo Paese natale, ma verso uno “Stato terzo” non ancora identificato.
L’annuncio ha sorpreso e allarmato i suoi avvocati, che temono che l’amministrazione Trump possa tentare di espellere di nuovo Abrego Garcia prima che possa affrontare regolarmente il processo penale.
Nel Maryland, la giudice distrettuale federale Paula Xinis, che sovrintende al contenzioso civile intentato dalla moglie dell’imputato contro il governo per l’espulsione illegittima di marzo, ha fissato un’udienza per il 7 luglio per discutere la richiesta d’urgenza di bloccare qualsiasi rimozione. Tuttavia, ha chiarito di non poter intervenire subito.
“Temo che il governo possa cercare di espellerlo rapidamente nel fine settimana”, ha detto l’avvocato Jonathan Cooper durante una conference call straordinaria con la giudice. Il legale del Dipartimento di Giustizia, Jonathan Guynn, ha risposto in modo evasivo: “Non ci sono tempi da rispettare”, pur confermando che l’amministrazione intende “dare seguito agli ordini ricevuti”.
Nel Tennessee, dove Abrego Garcia è formalmente accusato di traffico di esseri umani, è invece in corso il procedimento penale. Qui, la giudice magistrato federale Barbara Holmes, incaricata delle udienze preliminari, ha stabilito che l’imputato ha diritto a restare a piede libero in attesa del processo, a condizione che risieda nel Maryland con suo fratello, cittadino americano. Tuttavia, ha temporaneamente sospeso la liberazione, temendo che gli agenti dell’immigrazione potessero approfittarne per rimuoverlo immediatamente dal Paese, aggirando di fatto il procedimento giudiziario.
A presidiare l’intero processo penale è il giudice distrettuale federale Waverly Crenshaw, anche lui nel Tennessee, che ha criticato duramente la possibilità che Abrego Garcia venga espulso prima di affrontare il processo. In un’ordinanza, Crenshaw ha scritto: “Se il governo sostiene che il processo a questo imputato è così importante, è suo dovere assicurarsi che possa svolgersi. Se non può farlo, questo parla da sé”.
La possibile espulsione in un “Paese terzo”, idea avanzata giovedì dal Dipartimento di Giustizia, solleva nuovi interrogativi legali. Un ordine del 2019 impedisce l’espulsione di Abrego Garcia in El Salvador, perché un giudice per l’immigrazione aveva riconosciuto il rischio concreto di persecuzione da parte di bande criminali. Ma una recente sentenza della Corte Suprema ha autorizzato l’espulsione di migranti verso Paesi terzi senza la garanzia che venga valutato il rischio di tortura, aprendo la strada a nuove opzioni per l’amministrazione.
Kilmar Abrego Garcia ha vissuto per oltre un decennio nel Maryland con la moglie e i figli, tutti cittadini statunitensi. La sua storia è diventata un simbolo delle contraddizioni delle politiche migratorie dell’amministrazione Trump: prima deportato per errore, poi riportato indietro per affrontare accuse gravi non sostenute né dalle prove né dalle testimonianze, e ora forse nuovamente espulso prima che la giustizia possa compiere il proprio corso.
Mentre la giudice Xinis si prepara a valutare il suo destino il 7 luglio, il governo federale continua a muoversi tra linee contraddittorie, comunicazioni ambigue e crescenti tensioni istituzionali. La posta in gioco va ben oltre il destino di un solo uomo: riguarda la credibilità dello Stato di diritto e la coerenza interna delle istituzioni americane nell’era dell’“America First”.