Mentre orchestrava l’offensiva più dura degli ultimi decenni contro l’immigrazione irregolare, Stephen Miller, stratega di punta dell’amministrazione Trump e vice capo di gabinetto della Casa Bianca, stava anche guadagnando denaro.
Tutto ciò grazie a un sistema che lui stesso ha contribuito a costruire. Secondo documenti federali sulla trasparenza finanziaria, il politico detiene tra i 100.000 e i 250.000 dollari in azioni di Palantir, Technologies, il gigante tech vicino all’investitore e miliardario tedesco-americano Peter Thiel e principale fornitore di sistemi di sorveglianza per l’ICE.
Palantir non è solo una società di software: rappresenta il cuore digitale dell’apparato di controllo migratorio. Da anni sviluppa per il governo statunitense sistemi sofisticati di tracciamento, raccolta e analisi dei dati sui soggetti irregolari. E sotto l’amministrazione Trump, la sua influenza e i suoi introiti sono esplosi. Solo nel 2014, ha ottenuto un contratto da 41 milioni di dollari per costruire la piattaforma Investigative Case Management, in grado di aggregare informazioni da fonti federali e private per facilitare arresti e deportazioni.
La quota di Miller, intestata formalmente a uno dei suoi figli minori, è emersa nell’ambito di un’indagine condotta dal Project on Government Oversight POGO, un ente indipendente e apartitico, che ha rilevato investimenti simili anche da parte di almeno altri undici membri dello staff presidenziale, tra cui il Chief Information Officer Gregory Barbaccia. Ma è proprio il ruolo centrale dello stratega nel plasmare la politica migratoria a rendere la vicenda particolarmente controversa.
Dietro l’apparente gestione tecnica della sicurezza nazionale, si nasconde un disegno ideologico. Lo stesso Miller, secondo fonti interne citate dal funzionario ex DHS Miles Taylor, avrebbe spinto in passato per misure estreme, arrivando a proporre l’uso di droni armati per distruggere imbarcazioni cariche di migranti prima che potessero raggiungere le coste a stelle e strisce.
Nel frattempo, Palantir ha continuato a incassare contratti milionari. Nel 2023, ha ottenuto un nuovo accordo da 30 milioni di dollari per sviluppare ImmigrationOS, un software pensato per fornire all’agenzia “visibilità quasi in tempo reale” su soggetti sottoposti a processi di autodeportazione. I documenti, ottenuti dalla rivista statunitense Wired, indicano che una delle funzioni principali del programma è quella di facilitare le operazioni di arresto e rimpatrio, anche in assenza di reati specifici.
Proprio quando gli algoritmi si affinano, sul terreno la realtà si fa più cruenta. Una donna incinta al nono mese è stata arrestata e poco dopo ricoverata d’urgenza per dolori acuti. Un’altra, priva di documenti, ha perso il bambino al quinto mese di gravidanza dopo aver invano supplicato assistenza medica per giorni. Intanto aumentano anche i casi di cittadini americani e residenti legali erroneamente coinvolti nei raid.
Fonti interne all’ICE hanno riferito che Miller, insoddisfatto dei ritmi delle deportazioni, avrebbe urlato contro i funzionari locali per non aver raggiunto il target di 3.000 arresti giornalieri. Mentre intere comunità vivono nel terrore delle retate, per alcuni la paura diventa investimento.