Jeff Bezos sognava un matrimonio da favola. Venezia doveva esserne il palcoscenico ideale: isole romantiche, palazzi rinascimentali, gondole, vetri di Murano. Invece, si è ritrovato dentro un cortocircuito logistico e simbolico, fatto di proteste, striscioni e cambi di programma imposti da una città che rifiuta di diventare il parco giochi degli ultraricchi. Da Clooney a Elton John, fino a Bezos, Venezia continua a essere lo specchio dorato attraverso cui l’élite ama riflettersi. Ma questa volta qualcosa si è incrinato.
La cerimonia tra il fondatore di Amazon e la giornalista Lauren Sánchez si terrà comunque. Ma lo spostamento del gran ballo finale – dalla Scuola Grande della Misericordia all’Arsenale, zona militare più facile da isolare – è già un segnale: anche un uomo da 200 miliardi può trovarsi di fronte a un muro. Un fronte composito, ma determinato, che con lo slogan “No space for Bezos” ha scelto di non arretrare.
Il magnate di Amazon e Lauren Sánchez sono sbarcati da qualche ora all’hotel Aman, uno dei resort più esclusivi sul Canal Grande, arrivando in elicottero dalla nave Abeona, ancorata insieme al mega yacht Koru al largo di Umago, in Croazia. All’aeroporto Marco Polo il flusso di jet privati è continuo. In città sono già stati avvistati Ivanka Trump, lo yacht di Bill Miller, e i primi movimenti nelle cinque strutture di lusso prenotate per ospitare gli invitati: il Gritti, il Cipriani, il Danieli, l’Aman e lo St. Regis.
I festeggiamenti cominceranno domani e andranno avanti per tre giorni. Il Teatro Verde sull’isola di San Giorgio è stato completamente schermato da un grande gazebo bianco e recintato con rete metallica, rendendolo invisibile ai curiosi e inaccessibile persino ai droni. I chiostri della Fondazione Cini restano aperti al pubblico, ma il cuore dell’isola è ormai zona rossa.
Intanto i comitati cittadini si preparano a nuove azioni. Si parla di blitz via acqua tra il Bacino di San Marco e Rialto, mentre sabato è in programma un corteo colorato dal piazzale della stazione fino a Campo Sant’Angelo. La mobilitazione è cominciata settimane fa, ma ha preso slancio nelle ultime ore, quando si è diffusa la notizia del cambio di location.
“Venezia non è un set”, si legge su uno striscione calato da una gru accanto all’hotel Danieli. “Se puoi permetterti di affittare una città per sposarti, puoi anche pagare più tasse”, recitava un altro messaggio, apparso in Piazza San Marco, firmato Greenpeace. E poi ancora: barche, gommoni, biciclette, megafoni.
“È una vittoria simbolica”, ha dichiarato Tommaso Cacciari, portavoce del comitato. “Se quattro attivisti sono riusciti a costringere uno degli uomini più potenti al mondo a riscrivere il programma del suo matrimonio, vuol dire che lo spazio per resistere esiste ancora”. Il 28 giugno è prevista una nuova manifestazione. “Vogliono spingerci ai margini, ma noi restiamo nel cuore della città. Perché ci appartiene”.
Da un lato, l’evento inietta milioni nell’economia locale, attiva fornitori veneziani, coinvolge artigiani, catering, albergatori. Dall’altro, crea una distorsione urbana che costringe residenti e turisti a subire limitazioni, sorveglianza e un impatto ambientale pesante. Il lusso, quando diventa spettacolo, mette radici nel suolo pubblico – ed è lì che nasce il conflitto.
A dispetto delle rassicurazioni del Comune – che parla di impatto minimo e collaborazione con operatori locali – l’evento ha riacceso tutte le contraddizioni di Venezia: la pressione turistica, l’esodo dei residenti, l’aumento dei prezzi, la privatizzazione degli spazi pubblici. In pochi giorni, la città è diventata il simbolo perfetto del divario tra chi ha tutto e chi resta a guardare.
Bezos non ha risposto alle critiche. Ma la sua assenza pubblica dice molto. Il messaggio che passa è che per certe persone il mondo può essere comprato, incluso un pezzo di patrimonio UNESCO. Ma non senza resistenze.