Il “grande, bellissimo disegno di legge” voluto da Donald Trump è sotto assedio. A pochi giorni dalla scadenza del 4 luglio, fissata dal presidente come deadline politica, la maxi-proposta fiscale e di spesa repubblicana affronta ostacoli su più fronti: resistenze interne, ribellione del Freedom Caucus alla Camera, spot d’opposizione trasmessi negli Stati chiave e, da ultimo, le forbici della Parliamentarian del Senato, Elizabeth MacDonough, che ha stroncato decine di disposizioni centrali.
Il leader della maggioranza John Thune punta ancora a portare il testo alla firma di Trump “entro la fine della settimana”, ma la procedura di riconciliazione, che consente l’approvazione con soli 51 voti, richiede che ogni singola parte del testo superi il cosiddetto Byrd bath, la verifica di conformità alla Byrd Rule.
Negli ultimi giorni, MacDonough ha respinto alcune delle disposizioni più controverse del provvedimento: dalla riforma dell’immigrazione alla limitazione dei poteri giudiziari, dalle scorciatoie ambientali alle privatizzazioni del servizio postale e dei sussidi agli agricoltori. Tutto ciò che non ha superato il test è stato tagliato dal testo, ridimensionando drasticamente il perimetro e l’ambizione del provvedimento.
Molti di questi provvedimenti, ha stabilito Parliamentarian, sono “estranei al bilancio” e dunque non possono essere approvati tramite riconciliazione. Per rientrare nel disegno di legge, i Repubblicani dovrebbero riformularli e ottenere 60 voti al Senato: un’impresa politicamente impossibile.
Questo perché il Big Beautiful Bill di Donald Trump non è il frutto di un compromesso bipartisan: è una proposta interamente repubblicana, ideata dal capo della Casa Bianca, per essere approvata senza alcun voto democratico. Per questo, i Repubblicani al Congresso hanno scelto di utilizzare una scorciatoia procedurale: la “riconciliazione di bilancio”, un meccanismo che consente di aggirare l’ostruzionismo del Senato (filibuster) e approvare una legge con la sola maggioranza semplice di 51 voti, invece dei 60 voti normalmente richiesti per superare il dibattito e arrivare al voto finale.
Secondo le stime del Congressional Budget Office, l’approvazione del Big Beautiful Bill farebbe aumentare il debito federale di 2.400 miliardi di dollari in dieci anni, spingendo ulteriormente verso l’alto il già astronomico deficit degli Stati Uniti. Una cifra che contrasta con le promesse di rigore fiscale volute da diversi esponenti repubblicani, soprattutto tra le fila più conservatrici.
Ma la riconciliazione ha un prezzo: ogni misura deve incidere direttamente su spese, entrate o debito federale. A far rispettare questa regola è una figura chiave: la Parliamentarian, appunto. Il suo compito è applicare la cosiddetta Byrd Rule, dal nome del senatore democratico Robert Byrd, che negli anni ’80 ha voluto proteggere la procedura di riconciliazione dagli abusi politici.
Secondo la Byrd Rule, ogni disposizione “estranea” al bilancio deve essere espunta dal testo, anche se sostenuta dalla maggioranza. Non basta che una norma sia “politicamente rilevante”: deve influenzare direttamente entrate o uscite federali in modo sostanziale e non incidentale.
In altre parole, per i Repubblicani non esiste un piano B: senza i voti dei Democratici e con la riconciliazione come unica strada, il disegno di legge può reggersi solo su un fragile equilibrio interno, in cui ogni defezione rischia di farlo crollare.
Nonostante il colpo inferto dalla Parliamentarian, Thune non si arrende. In contatto continuo con lo speaker Mike Johnson, il leader al Senato è convinto che la pressione politica di Trump possa spingere il partito all’unità. “Sta parlando con tutti, uno a uno. E li sta dividendo in gruppi più piccoli”, ha detto Thune. “Alla fine, la sua urgenza diventerà la nostra forza trainante”.
Ma la realtà è più complessa. Al Senato, almeno cinque repubblicani, Collins, Murkowski, Tillis, Hawley e Rand Paul, minacciano il no. Alla Camera, Thomas Massie ha già detto che voterà per bocciare il provvedimento, mentre Roy, Harris e Burlison hanno detto di essere estremamente dubbiosi. E lo stesso Johnson, sotto scacco tra Casa Bianca e l’ala radicale, rischia di vedere saltare la fragile maggioranza costruita attorno a una versione ben diversa del piano.
Sul fronte dell’opinione pubblica, la campagna di Teachers/AFT, AFSCME e altri sindacati ha lanciato spot pubblicitari mirati in otto stati contesi. I messaggi parlano chiaro: il Big Beautiful Bill è “una rapina fiscale” da 2,4 trilioni di dollari ai danni dei lavoratori, secondo le stime del CBO, con benefici netti per l’1% più ricco della popolazione.
Il tempo stringe. La pressione su ogni singolo voto aumenta. Ma con una proposta svuotata dalla Parliamentarian, una Camera sull’orlo della rivolta e un’opinione pubblica che inizia a rumoreggiare, il “Big Beautiful Bill” di Trump potrebbe finire per restare ciò che molti già pensano sia: uno slogan ben confezionato. E nient’altro.