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Analisti: gli attacchi Usa hanno rimandato “di alcuni mesi” il nucleare in Iran

Gli ingressi di alcune strutture sotterranee sono stati bloccati, ma le sale di arricchimento non sono crollate

Massimo JausbyMassimo Jaus
Nyt, per 007 Usa Iran ha trasferito uranio in siti segreti
Time: 3 mins read

Gli Stati Uniti hanno colpito. Ma non hanno annientato. Gli attacchi militari ordinati dal presidente Donald Trump contro tre impianti nucleari iraniani, Fordow, Natanz e Isfahan, non avrebbero distrutto il cuore del programma atomico di Teheran. Secondo valutazioni preliminari dell’intelligence americana, riportate da CNN, dal New York Times e dalla BBC, gli ingressi di alcune strutture sotterranee sono stati bloccati, ma le sale di arricchimento non sono crollate. E soprattutto: le scorte di uranio arricchito erano già state spostate in luoghi segreti prima dell’attacco.

Una fonte della Defense Intelligence Agency (DIA) ha confermato che le componenti chiave del programma nucleare iraniano, le centrifughe, non sono state colpite. “L’impatto reale? Solo un ritardo di qualche mese”, dicono le fonti.

La Casa Bianca nega tutto: “Questa valutazione è assolutamente sbagliata”, ha affermato la portavoce Karoline Leavitt, che ha accusato la CNN di aver divulgato “informazioni classificate” e di voler screditare Trump. “La fake news Cnn colpisce ancora”, posta Leavitt. “La fuga di notizie di questa presunta valutazione è un chiaro tentativo di sminuire il presidente Trump e screditare i coraggiosi piloti di caccia che hanno condotto una missione perfettamente eseguita per annientare il programma nucleare iraniano”, aggiunge Leavitt. In suo aiuto anche il segretario alla Dfesa, Pete Hegseth che ha affermato che le bombe sono state devastanti e che sono voci messe in giro per sminuire il presidente e il successo della missione. Mentre la Leavitt ha cercato di attribuire la fuga di notizie a una singola fonte, la CNN, nel suo articolo, ha citato “tre persone informate” sulla valutazione dell’intelligence statunitense.

Eppure le stime diffuse da CNN e New York Times  coincidono con quelle trapelate da un funzionario dell’intelligence israeliana, che al Times of Israel ha ammesso che i raid “hanno creato problemi per anni”, ma non hanno distrutto il programma.

Il 21 giugno, appena l’operazione è stata completata, Trump aveva proclamato: “Gli impianti sono stati completamente e totalmente distrutti.” Ma secondo le agenzie americane e gli osservatori nucleari indipendenti, si tratta di una valutazione fortemente esagerata.

La domanda cruciale ora è: che fine ha fatto l’uranio arricchito? Il programma dell’Iran contava oltre 400 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, materiale sufficiente, se ulteriormente raffinato al 90%, per costruire fino a nove bombe nucleari, secondo l’AIEA.

Le immagini satellitari della Maxar Technologies hanno mostrato movimenti sospetti a Fordow nei giorni precedenti l’attacco: camion in fila, attività logistiche insolite. Dopo i bombardamenti, anche media iraniani come Mehr News hanno confermato che i materiali erano stati “già rimossi” prima dell’arrivo delle bombe.

David Albright, ex ispettore ONU, è netto: “Sappiamo che l’uranio arricchito è stato portato via. Ma non sappiamo dove sia finito.”

Le bombe bunker-buster americane hanno colpito gli ingressi, ma le strutture interrate di Fordow e Natanz sono troppo profonde per essere facilmente danneggiate, secondo Rafael Grossi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Le immagini satellitari mostrano nuovi crateri e danni alle infrastrutture di superficie, ma nessuna conferma sulla distruzione effettiva delle centrifughe nei tunnel sotterranei.

Il ricercatore Sam Lair, del James Martin Center for Nonproliferation Studies, ha affermato che “non ci sono prove che l’impianto sotterraneo di Isfahan sia stato realmente colpito”. E ha aggiunto: “L’Iran ha avuto giorni per evacuare i materiali più sensibili.”

Nel frattempo, l’AIEA ha confermato che l’Iran ha autorizzato la costruzione di un nuovo sito di arricchimento, alimentando i sospetti che Teheran si stesse preparando a una guerra preventiva contro il proprio programma atomico. Kelsey Davenport dell’Arms Control Association ha avvertito: “Il pericolo non è solo l’uranio già arricchito, ma quello che potrebbe essere prodotto altrove, in un sito non dichiarato.”

Mentre Trump rivendica il successo militare e assicura che “L’Iran non ricostruirà mai i suoi impianti nucleari!”, le agenzie americane e internazionali sono più caute. “I danni sono significativi”, affermano fonti del CentCom, “ma la capacità iraniana di arricchire uranio potrebbe non essere stata azzerata.”

Secondo il Congressional Budget Office, le operazioni militari di giugno potrebbero anche aggravare i costi per la sicurezza nazionale, senza produrre risultati duraturi. La domanda rimane sospesa: è stata una missione riuscita o un boomerang strategico?

Il presidente iraniano, intanto, ha assicurato che il programma sarà ripristinato. E l’Occidente si trova ora in un nuovo scenario: quello in cui le centrifughe non sono visibili, l’uranio non è localizzabile e il confronto con Teheran è tutt’altro che chiuso.

 

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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