Si apre martedì all’Aia il vertice dei capi di Stato e di governo della NATO, uno dei più attesi degli ultimi anni. Sullo sfondo, tre dossier: la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente con i raid congiunti di Stati Uniti e Israele contro l’Iran, e le incognite sulla tenuta dell’impegno americano nel garantire la sicurezza europea.
Cuore del vertice è l’intesa su un nuovo target di spesa militare, fissato al 5% del PIL, da raggiungere entro il 2035. Una soglia ben oltre l’attuale impegno del 2%, voluta e imposta da Trump, che da mesi insiste su una maggiore assunzione di responsabilità da parte degli alleati europei.
Il compromesso trovato distingue tra il 3,5% destinato alla spesa militare diretta (truppe, armi, munizioni) e l’1,5% per investimenti indirettamente connessi alla sicurezza, come infrastrutture logistiche o aiuti all’Ucraina. Tuttavia, il linguaggio dell’accordo è stato attentamente calibrato per evitare strappi. In particolare, la formula approvata parla di “alleati che si impegnano”, non di “impegno vincolante” per ciascun Paese. Una sfumatura non da poco che consente a governi più riluttanti di rivendicare margini di autonomia.
Tra questi Madrid, dove il premier socialista Pedro Sánchez ha chiesto a sorpresa un’esenzione dal nuovo obiettivo e alla fine ha ottenuto una deroga mascherata. La Spagna non sarà obbligata a raggiungere il 5%, ma potrà presentare piani annuali di spesa coerenti con i “target di capacità” definiti lo scorso 5 giugno dai ministri della Difesa dell’Alleanza.
“Considero questo esito un successo”, ha dichiarato Sánchez domenica. “Saremo in grado di adempiere agli impegni verso l’Alleanza Atlantica, preservandone l’unità, senza essere costretti ad aumentare la spesa militare fino al 5% del PIL.” Secondo quanto comunicato da Madrid, il governo spagnolo si impegnerà a destinare il 2,1% del PIL per soddisfare le richieste operative dell’Alleanza. Lo stesso concetto è stato ribadito dal segretario generale Mark Rutte, che in una nota formale a Sánchez ha confermato che l’accordo riconosce a ogni Paese “la possibilità di determinare un proprio percorso sovrano” per raggiungere gli obiettivi stabiliti.
Dietro le quinte, l’intero impianto del vertice è stato concepito per non urtare la sensibilità del presidente americano. Agenda compressa in un solo giorno e mezzo – una cena martedì e una sessione di lavoro mercoledì – per evitare fughe anticipate o tensioni come quelle viste al recente G-7 in Canada.
Trump, che ha già fatto sapere che il target del 5% “non si applica agli Stati Uniti”, sarà comunque il baricentro del summit. I leader europei – pur consapevoli delle sue intemperanze – sono intenzionati ad assecondarlo, anche solo per garantirsi la continuazione delle garanzie di sicurezza americane.
Sotto i riflettori anche Mark Rutte, al debutto da segretario generale della NATO. Ex premier olandese, gode di ottimi rapporti con Washington ma rischia di essere percepito come troppo accomodante. Il suo ruolo sarà quello di mediatore tra le richieste di Trump e le inquietudini degli alleati.
Alla sua prima partecipazione anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha promesso di costruire “il più forte esercito d’Europa” e dovrà ora dimostrare di voler dare seguito all’ambizione espressa a Berlino. L’asse franco-tedesco, già in difficoltà, è destinato a essere ulteriormente stressato dalle divergenze su tempi e priorità nella difesa comune.
Presente anche Volodymyr Zelensky, che però è stato escluso dal programma principale per evitare frizioni con Trump. Kyiv spera in nuovi impegni militari e forse in un incontro bilaterale, ma non sono attesi passi avanti sul fronte dell’adesione all’Alleanza. L’Ucraina si accontenterebbe di non dover fare passi indietro rispetto ai vertici precedenti.
Più spigolosa la posizione della Slovacchia: il premier populista Robert Fico ha paventato una possibile uscita della sua nazione dalla NATO, evocando uno status di neutralità. Dichiarazioni dirompenti, ma finora smentite dal sostegno trasversale al nuovo obiettivo del 5% da parte dei principali partiti slovacchi.