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Missili su Doha, raid USA e consiglio di guerra: Trump apre al regime change

Teheran lancia razzi verso la base americana in Qatar dopo i raid su Fordow e Natanz. Trump rinvia il viaggio alla NATO e parla di “successo storico”

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Trump, tenete bassi prezzi petrolio, non fate gioco nemico

Donald Trump (ph: ANSA)

Time: 3 mins read

Il primo contrattacco è arrivato da Teheran, e non ha fatto vittime. Lunedì al crepuscolo, l’Iran ha lanciato una raffica di missili verso la base militare americana in Qatar. I vettori non hanno centrato l’obiettivo: secondo il ministero della Difesa di Doha, le difese aeree del paese hanno intercettato e neutralizzato l’attacco. Ma il messaggio è chiaro. A nemmeno 48 ore dai devastanti raid statunitensi contro i siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, la risposta iraniana ha acceso l’allarme in tutto il Golfo.

Alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump aveva già convocato il Consiglio per la Sicurezza Nazionale. La riunione si è svolta nella Situation Room, alla presenza del vicepresidente J.D. Vance, del segretario alla Difesa Pete Hegseth e del segretario di Stato Marco Rubio. Obiettivo: fare un bilancio dei bombardamenti e valutare l’entità della rappresaglia iraniana. La partenza di Trump per il vertice NATO ad Amsterdam è stata rinviata di 24 ore. “Il presidente non desidera un ulteriore coinvolgimento militare nella regione – ha detto un alto funzionario alla CNN – ma è pronto a intensificare l’impegno se necessario”.

Eppure, secondo fonti di intelligence, il vero ordine d’attacco era stato dato giorni prima. I bombardieri stealth B-2 erano già in volo verso l’Iran quando Trump, dal suo golf club di Bedminster, dichiarava che avrebbe deciso “entro due settimane” se intervenire. L’operazione, nome in codice Midnight Hammer, era stata pianificata da tempo, nel più assoluto riserbo. Il presidente, riferiscono ad Axios funzionari coinvolti, aveva orchestrato personalmente i tempi, i bersagli e la strategia di comunicazione. “Nessuna fuga, nessun preavviso, solo una decisione politica presa al vertice. È stata un’operazione di Trump, non del Pentagono.”

Il piano prevedeva un diversivo: parte dei B-2 ha preso la rotta del Pacifico, mentre l’ala d’attacco reale puntava su Fordow. Gli impianti sono stati colpiti in simultanea. Il risultato, secondo Washington, è stato devastante. “Gli impianti nucleari sono stati completamente e totalmente distrutti”, ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt, che ha definito il blitz “un successo storico, qualcosa che ogni presidente ha sognato ma che solo Trump ha avuto il coraggio di realizzare”.

Il presidente ha rincarato la dose su Truth Social: “I siti nucleari iraniani sono stati distrutti, e lo sanno tutti. Ma le fake news CNN, ABC, NBC, dicono il contrario per sminuire la nostra vittoria. Zero credibilità.”
Tuttavia, la sequenza che ha condotto ai raid è più complessa. Durante il G7 in Canada, Trump aveva sondato con Erdoğan la possibilità di un incontro segreto a Istanbul tra funzionari Usa e iraniani. Si era detto pronto a inviare Vance, l’inviato speciale Steve Witkoff o persino a partire lui stesso. Ma la guida suprema Ali Khamenei, nascosta per timore di un attentato, ha chiuso ogni spiraglio. Il conflitto in corso con Israele ha poi reso logisticamente impossibile qualsiasi trattativa.

Venerdì, dopo l’ennesimo rapporto dell’AIEA sul programma nucleare iraniano e una nuova valutazione della CIA, è arrivato il via libera definitivo. “L’Iran era vicino, ma non aveva ancora preso la decisione di costruire la bomba. Israele ha aperto una finestra, e Trump l’ha attraversata”, ha detto un consigliere.
Mentre i B-2 sganciavano le bombe, Witkoff ha inviato un messaggio al ministro degli Esteri iraniano Araghchi, spiegando che si trattava di un’operazione limitata: “Colpi chirurgici solo contro il nucleare. Washington resta aperta a una soluzione diplomatica.”

Ma le parole sono state presto sommerse dalle minacce. Dmitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha dichiarato che “alcuni paesi sono pronti a fornire testate nucleari all’Iran”. Trump, furioso, ha replicato: “Ha davvero usato con leggerezza la parola con la ‘N’? Se è vero, voglio saperlo IMMEDIATAMENTE. Non dovrebbe mai essere trattata con superficialità.”

Lo scontro è esploso anche all’interno dell’amministrazione. Mentre Leavitt e Vance hanno cercato di raffreddare i toni (“Non siamo in guerra con l’Iran”), Trump ha lasciato intendere di voler aprire un nuovo capitolo. Su Truth, ha lanciato la sua versione internazionale del motto MAGA: “Se il regime iraniano non riesce a rendere grande l’Iran, perché non dovrebbe essere sostituito??? MIGA!!!”. Un acronimo per Make Iran Great Again.
Parole pesanti, arrivate mentre gli israeliani sganciavano le bombe sui quartieri generali dei Pasdaran e sul carcere di Evin, simbolo della repressione. Un salto di qualità che, per la prima volta, colpisce non solo il programma nucleare, ma l’intera architettura del potere iraniano.

Ora il mondo guarda a Teheran. L’attacco americano ha segnato un punto di non ritorno. Ma il rischio è che la prossima mossa arrivi non con un missile, ma con una bomba sporca, un sabotaggio o un attentato.

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Marco Giustiniani

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