Con una decisione che rappresenta una battuta d’arresto per il Dipartimento di Giustizia, domenica pomeriggio la giudice federale Barbara D. Holmes ha stabilito che Kilmar Abrego Garcia, il ventinovenne immigrato salvadoregno espulso per errore e poi riportato negli Stati Uniti, può essere rilasciato in attesa di processo.
La sentenza chiarisce che le prove presentate dal governo non giustificano la detenzione preventiva, né dimostrano che Abrego rappresenti un pericolo per la comunità o un rischio di fuga.
Tuttavia, la scarcerazione per ora è solo teorica: come ha ammesso la stessa giudice, è probabile che l’ICE, l’agenzia federale per l’immigrazione, trattenga comunque Abrego in attesa di un nuovo procedimento di espulsione.
Al centro della decisione della giudice Holmes c’è un chiaro scetticismo sull’intera costruzione dell’accusa. Gran parte delle testimonianze presentate dai pubblici ministeri, infatti, sono emerse solo dopo la controversa espulsione di Abrego in El Salvador, una deportazione che lo stesso Dipartimento di Giustizia ha poi ammesso essere avvenuta per errore. Fino a quel momento, nessuno aveva mai sollevato accuse di traffico di migranti né ipotizzato legami con organizzazioni criminali. È solo quando il caso è tornato alla ribalta, nel tentativo di rimediare a quell’espulsione illegittima, che sono comparse dichiarazioni e testimonianze che appaiono oggi quanto meno tardive e sospette.
Secondo la difesa e secondo più di un’osservazione della giudice, questo solleva interrogativi sull’origine del procedimento, che appare “modellato più per giustificare un errore” che per perseguire un reale reato. “Il governo – ha commentato uno degli avvocati di Abrego – ha cercato di coprire una deportazione illegittima con un’accusa penale costruita in fretta”.
Il punto di partenza dell’indagine è un controllo stradale del 2022 nel Tennessee, in cui Abrego venne trovato alla guida di un SUV con nove uomini ispanici a bordo. Secondo l’accusa, da lì sarebbe emersa un’attività di traffico sistematico di migranti tra il Texas e il Maryland, con guadagni fino a 100.000 dollari l’anno. Ma molte di queste informazioni derivano da testimoni che hanno collaborato dopo aver ricevuto — o sperato di ricevere — benefici personali, tra cui sconti di pena o la sospensione dell’espulsione.
Uno degli informatori chiave è stato descritto dalla giudice come “un trafficante già espulso due volte, con una lunga storia criminale, che ora ha ottenuto il rilascio anticipato dal carcere e il rinvio della sua sesta espulsione”.
Uno degli aspetti più controversi del caso è la presunta appartenenza di Abrego Garcia alla gang MS-13. L’accusa lo ha definito un membro noto e attivo, ma la giudice Holmes ha fatto notare che non esiste alcun precedente penale a suo carico, né alcuna prova solida che confermi l’affiliazione. “Se davvero fosse un membro di lunga data di una gang transnazionale violenta – ha scritto nella sentenza -, ci si aspetterebbe almeno un riscontro nei registri penali. Ma non ce n’è traccia”.
La Corte ha inoltre respinto le accuse di comportamenti sessualmente inappropriati avanzate da un agente federale, ritenendole non supportate da evidenze e irrilevanti rispetto alla decisione sulla custodia cautelare.
In più, alcune delle affermazioni degli informatori sono apparse alla giudice irrealistiche. Come l’idea che Abrego avrebbe viaggiato su e giù per gli Stati Uniti tre o quattro volte a settimana, portando con sé anche i figli. “Sarebbe un impegno di guida pari a oltre 120 ore settimanali. Una cosa che sfiora l’impossibilità fisica”, ha osservato la Corte.
Abrego era stato espulso a marzo, in violazione di una precedente sentenza del 2019 che gli garantiva protezione dal rimpatrio in El Salvador per rischio di persecuzioni. Deportato nella famigerata megaprigione salvadoregna, è rimasto lì fino a giugno, quando un ordine della Corte Suprema ha obbligato il governo a farlo rientrare.
La sua vicenda giudiziaria negli Stati Uniti è iniziata solo dopo quel ritorno, con accuse che secondo i suoi difensori “puzzano di vendetta”. Un’indagine federale è partita il 28 aprile, quando ormai il caso stava diventando un problema giuridico e mediatico per l’amministrazione.
La giudice Holmes ha fissato per mercoledì un’udienza per discutere le condizioni di rilascio, anche se il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha già fatto sapere che Abrego Garcia, in ogni caso, “non uscirà mai libero sul suolo americano”.
Abrego Garcia, intanto, resta formalmente non colpevole. È sposato con una cittadina statunitense, padre di tre figli, e prima dell’espulsione lavorava come apprendista idraulico in una ditta di costruzioni, che si è detto pronto a reintegrarlo. Anche l’associazione CASA, che difende i diritti degli immigrati, ha offerto supporto psicologico dopo i mesi passati in carcere a El Salvador.
La decisione della giudice Holmes non pone fine al caso, ma lo sposta su un piano nuovo, dove oltre alle accuse penali si discute di tutele costituzionali, garanzie processuali e diritti civili.
E mentre Abrego resta in custodia, ancora in attesa di capire se sarà giudicato da un tribunale o trattenuto da un’agenzia, il suo processo rischia di diventare il simbolo di qualcosa di più grande: cosa accade quando lo Stato commette un errore e, invece di correggerlo, lo copre con nuove accuse.