Dopo oltre tre mesi di detenzione, Mahmoud Khalil – attivista per i diritti dei palestinesi, laureato alla Columbia University e residente legale permanente negli Stati Uniti – si è finalmente riunito a sua moglie e al figlioletto. Khalil, lo studente più noto ad essere stato preso di mira dall’amministrazione Trump per aver parlato contro la guerra israeliana a Gaza, è arrivato in New Jersey sabato verso le 13 – con due ore di ritardo dopo che il suo volo era stato inizialmente dirottato a Philadelphia.
Khalil, titolare di una green card statunitense, era stato trasferito a Jena, in Louisiana, poco dopo essere stato prelevato all’inizio di marzo da agenti dell’immigrazione in borghese (ICE) nell’atrio della sua residenza universitaria, davanti alla moglie incinta. Il trentenne, che non è mai stato accusato di alcun reato, non ha assistito alla nascita del figlio e gli è stato permesso di vedere la moglie – cittadina americana – e il bimbo una sola volta, brevemente, all’inizio di giugno.
Era stato un attivista chiave nelle proteste universitarie filopalestinesi alla Columbia nel 2024 ma aveva anche collaborato con studenti e docenti ebrei favorevoli al riconoscimento della Palestinaa. In un’intervista alla CNN aveva dichiarato: “La liberazione del popolo palestinese e di quello ebraico sono intrecciate e vanno di pari passo: non si può ottenere l’una senza l’altra.”
Khalil è stato rilasciato venerdì sera da un centro di detenzione per immigrati in Louisiana, dopo che il giudice federale Michael Farbiarz di Newark (New Jersey) ha stabilito che incarcerare qualcuno per una questione d’immigrazione (di competenza civile e non penale) è incostituzionale, ordinandone l’immediato rilascio su cauzione. Farbiarz ha stabilito che il governo non aveva fornito prove che Khalil rappresentasse un pericolo per la comunità o un rischio di fuga.
Khalil ha sorriso ai suoi sostenitori in festa mentre usciva dall’area di sicurezza dell’aeroporto di Newark spingendo il passeggino nero con il figlio neonato, con il pugno destro alzato e una kefiah palestinese sulle spalle. Era accompagnato dalla moglie, Noor Abdalla, da membri del suo team legale e dalla deputata democratica di New York Alexandria Ocasio-Cortez.
“Anche se mi minacciassero di detenzione, anche se volessero uccidermi, continuerei a parlare a favore della Palestina”, ha dichiarato in una breve conferenza stampa. “Voglio solo tornare a fare il lavoro che già facevo: difendere i diritti dei palestinesi, un discorso che dovrebbe essere celebrato, non punito.”

“Non è finita qui, e dobbiamo continuare a sostenere questo caso”, ha aggiunto Ocasio-Cortez. “La persecuzione per opinioni politiche è sbagliata, ed è una violazione dei diritti sanciti dal Primo Emendamento per tutti noi, non solo per Mahmoud.” L’amministrazione Trump “sa di condurre una battaglia legale persa in partenza”, ha detto ancora Ocasio-Cortez, che rappresenta parti del Bronx e del Queens.
Parlando ai giornalisti davanti al centro di detenzione di Jena, dove sono rinchiusi circa 1.000 uomini, Khalil ha dichiarato: “Trump e la sua amministrazione hanno scelto la persona sbagliata. Ma non esiste una persona giusta da detenere per protestare contro un genocidio. Nessuno è illegale – nessun essere umano è illegale, ha detto. “La giustizia prevarrà, qualunque cosa questa amministrazione possa tentare.”
Come parte delle condizioni per la sua liberazione, Khalil ha dovuto consegnare passaporto e green card alle autorità ICE a Jena. L’ordinanza limita anche i suoi spostamenti a pochi stati americani, tra cui New York e Michigan per visitare la famiglia, per udienze giudiziarie in Louisiana e New Jersey, e per attività di lobbying a Washington DC. Deve comunicare il proprio indirizzo al Dipartimento per la Sicurezza Interna entro 48 ore dall’arrivo a New York.
La detenzione di Khalil è stata ampiamente condannata come una pericolosa escalation della repressione dell’amministrazione Trump contro la libertà di parola, teoricamente protetta dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Il suo è stato il primo arresto in una serie di casi che hanno coinvolto studenti internazionali criticamente espressi contro l’assedio israeliano di Gaza, l’occupazione dei territori palestinesi e i legami finanziari delle università con aziende che traggono profitto dagli attacchi militari israeliani.

La liberazione di Khalil rappresenta una nuova battuta d’arresto per l’amministrazione Trump, che aveva promesso di espellere in massa gli studenti internazionali filopalestinesi, sostenendo – senza prove – che criticare Israele equivalga ad essere antisemiti.
Tre altri studenti detenuti per motivi simili a quelli di Khalil – Rümeysa Öztürk, Badar Khan Suri e Mohsen Mahdawi – sono già stati rilasciati in attesa delle rispettive udienze. Altri hanno lasciato volontariamente il paese dopo l’apertura delle procedure di espulsione. Un’altra studentessa è attualmente nascosta mentre combatte la propria battaglia legale.