Gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati nel conflitto tra Israele e Iran. Sabato sera, il presidente Donald Trump ha annunciato che l’aeronautica militare americana ha condotto un attacco contro tre siti nucleari iraniani, inclusa la struttura sotterranea di Fordow, segnando il primo intervento militare diretto contro le infrastrutture nucleari iraniane dal 1979.
“Un carico completo di bombe è stato sganciato su Fordow. Tutti gli aerei sono ora fuori dallo spazio aereo iraniano e stanno rientrando sani e salvi”, ha scritto Trump su Truth Social, rivendicando la missione compiuta con successo.
Poco dopo, il presidente ha parlato in diretta dalla Casa Bianca, circondato dal vicepresidente J.D. Vance, dal segretario di Stato Marco Rubio e dal segretario alla Difesa Pete Hegseth. In un discorso trasmesso a reti unificate, Trump ha dichiarato: “Stasera, posso annunciare al mondo che gli attacchi sono stati uno spettacolare successo militare. Gli impianti di arricchimento nucleare dell’Iran sono stati completamente e totalmente distrutti”. Il presidente ha motivato l’azione come necessaria per “la distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell’Iran”, al fine di fermare “la minaccia nucleare rappresentata dallo Stato numero uno al mondo che sponsorizza il terrorismo”.
“L’Iran è un bullo del Medio Oriente. È ora che scelga la pace. Se non lo farà, gli attacchi futuri saranno molto più estesi e molto più facili”, ha avvertito Trump.
“Restano molti obiettivi. Quello di stasera è stato di gran lunga il più difficile, e forse il più letale. Ma se la pace non arriverà rapidamente, attaccheremo gli altri con precisione, velocità e abilità. La maggior parte di essi può essere eliminata in pochi minuti.”
La Casa Bianca ha confermato che Trump ha parlato telefonicamente con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu prima e dopo l’attacco. Anche i leader del Congresso erano stati informati dell’imminente azione militare.
Solo 24 ore prima, Trump aveva affermato che avrebbe deciso entro due settimane se partecipare o meno all’offensiva israeliana contro l’Iran. Invece ha agito in anticipo, ordinando un attacco preventivo che l’amministrazione giustifica come misura per bloccare una possibile “corsa finale” iraniana verso l’arma nucleare.
Secondo fonti del Pentagono, diversi bombardieri B-2 sono decollati dalla base di Whiteman, Missouri, armati con bombe anti-bunker da 15 tonnellate progettate per penetrare installazioni fortificate come quella di Fordow, scavata sotto centinaia di metri di roccia. Alcuni aerei sono ora in transito verso Guam, ma al momento non sono stati confermati ulteriori attacchi.
Dopo il raid in Iran il Pentagono ha elevato il livello di allerta in tutte le installazioni militari statunitensi nel mondo. Le basi in Medio Oriente, Europa, Asia e Pacifico sono passate a “Threat Condition Delta”, il più alto livello di sicurezza previsto per minacce imminenti. Fonti del Dipartimento della Difesa hanno riferito che l’ordine è stato diramato nel timore di ritorsioni da parte dell’Iran o di attacchi coordinati da gruppi alleati come Hezbollah, le milizie sciite in Iraq o i ribelli Houthi in Yemen. Anche le ambasciate americane in varie capitali sono state rafforzate, mentre le forze USA in Giappone, Corea del Sud, Bahrain, Qatar e Germania hanno ricevuto istruzioni per operare in stato di prontezza permanente.
L’Iran ha risposto con fermezza. Il presidente Masoud Pezeshkian ha ribadito che Teheran “non rinuncerà in nessuna circostanza” al proprio programma nucleare, pur dichiarandosi “pronto al dialogo”. Nel frattempo, ha confermato la volontà di proseguire le rappresaglie militari contro Israele.
Prima dell’intervento americano, l’aviazione israeliana aveva colpito obiettivi strategici nel sud dell’Iran. Teheran ha risposto lanciando missili e droni contro obiettivi israeliani. Israele ha annunciato l’eliminazione di tre alti comandanti della Forza Quds: Mohammed Said Izadi, Behnam Shahriyari e Aminpour Joudaki. L’Iran non ha ancora confermato ufficialmente le morti.
Nel caos crescente, il Dipartimento di Stato ha avviato l’evacuazione dei cittadini statunitensi da Israele e dalla Cisgiordania. L’ambasciatore americano a Gerusalemme, Mike Huckabee, ha invitato i connazionali a registrarsi per lasciare il Paese, tramite voli charter, navi da crociera o aerei governativi.
Due funzionari israeliani hanno dichiarato alla CNN che si aspettano un coinvolgimento prolungato degli Stati Uniti nella guerra. La valutazione è condivisa da diverse agenzie d’intelligence, che hanno rilevato movimenti navali nel Mediterraneo orientale e intensi traffici aerei da basi in Inghilterra e nel Golfo.
Il presidente della Camera Mike Johnson ha difeso l’operazione, dichiarando su X che l’azione “dimostra che il presidente Trump fa sul serio. Ha dato ogni opportunità al regime iraniano per trattare, ma si sono rifiutati di collaborare”.
Anche il leader della maggioranza al Senato John Thune ha espresso il proprio sostegno: “Stiamo agendo per garantire che l’Iran non ottenga mai un’arma nucleare. Prego per il nostro personale militare coinvolto”.
Tuttavia, non sono mancate le critiche. Il deputato repubblicano Thomas Massie ha definito l’attacco “incostituzionale”, sottolineando che non è stata chiesta alcuna autorizzazione al Congresso. Sulla stessa linea il democratico Jim Himes, membro della Commissione Intelligence della Camera, che ha scritto: “La mia attenzione su questa questione viene PRIMA che cadano le bombe. Punto e basta”.
La decisione di Trump segna uno spartiacque non solo per la politica estera americana, ma per i complicatissimi equilibri del Medio Oriente. Dopo anni di retorica “America First” e promesse di disimpegno, il capo della Casa Bianca si ritrova ora coinvolto in una guerra che rischia di allargarsi e travolgere l’intera regione.
Le prossime ore saranno decisive per capire se si è trattato di un’azione circoscritta o dell’inizio di un nuovo capitolo della presenza militare americana in Medio Oriente. Un capitolo che, come in passato, rischia di riscrivere anche gli equilibri politici interni degli Stati Uniti.