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Gli Stati Uniti colpiscono i siti nucleari iraniani. Teheran: “Non ci fermerete”

Trump annuncia la distruzione dell’impianto di Fordow. Missili Tomahawk e bombardieri B-2 in un attacco “spettacolare e riuscito”. Allerta massima nelle basi USA

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
I tre siti nucleari iraniani colpiti negli attacchi Usa

I tre siti nucleari iraniani colpiti negli attacchi Usa (ph: ANSA)

Time: 5 mins read

Gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati nel conflitto tra Israele e Iran. Sabato sera, il presidente Donald Trump ha annunciato che l’aeronautica militare americana ha condotto un attacco contro tre siti nucleari iraniani, inclusa la struttura sotterranea di Fordow, segnando il primo intervento militare diretto contro le infrastrutture nucleari iraniane dal 1979.

“Un carico completo di bombe è stato sganciato su Fordow. Tutti gli aerei sono ora fuori dallo spazio aereo iraniano e stanno rientrando sani e salvi”, ha scritto Trump su Truth Social, rivendicando la missione compiuta con successo.

Poco dopo, il presidente ha parlato in diretta dalla Casa Bianca, circondato dal vicepresidente J.D. Vance, dal segretario di Stato Marco Rubio e dal segretario alla Difesa Pete Hegseth. In un discorso trasmesso a reti unificate, Trump ha dichiarato: “Stasera, posso annunciare al mondo che gli attacchi sono stati uno spettacolare successo militare. Gli impianti di arricchimento nucleare dell’Iran sono stati completamente e totalmente distrutti”.  Il presidente ha motivato l’azione come necessaria per “la distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell’Iran”, al fine di fermare “la minaccia nucleare rappresentata dallo Stato numero uno al mondo che sponsorizza il terrorismo”.

“L’Iran è un bullo del Medio Oriente. È ora che scelga la pace. Se non lo farà, gli attacchi futuri saranno molto più estesi e molto più facili”, ha avvertito Trump.

“Restano molti obiettivi. Quello di stasera è stato di gran lunga il più difficile, e forse il più letale. Ma se la pace non arriverà rapidamente, attaccheremo gli altri con precisione, velocità e abilità. La maggior parte di essi può essere eliminata in pochi minuti.”

La Casa Bianca ha confermato che Trump ha parlato telefonicamente con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu prima e dopo l’attacco. Anche i leader del Congresso erano stati informati dell’imminente azione militare.

Solo 24 ore prima, Trump aveva affermato che avrebbe deciso entro due settimane se partecipare o meno all’offensiva israeliana contro l’Iran. Invece ha agito in anticipo, ordinando un attacco preventivo che l’amministrazione giustifica come misura per bloccare una possibile “corsa finale” iraniana verso l’arma nucleare.

Secondo fonti del Pentagono, diversi bombardieri B-2 sono decollati dalla base di Whiteman, Missouri, armati con bombe anti-bunker da 15 tonnellate progettate per penetrare installazioni fortificate come quella di Fordow, scavata sotto centinaia di metri di roccia. Alcuni aerei sono ora in transito verso Guam, ma al momento non sono stati confermati ulteriori attacchi.

Dopo il raid in Iran il Pentagono ha elevato il livello di allerta in tutte le installazioni militari statunitensi nel mondo. Le basi in Medio Oriente, Europa, Asia e Pacifico sono passate a “Threat Condition Delta”, il più alto livello di sicurezza previsto per minacce imminenti. Fonti del Dipartimento della Difesa hanno riferito che l’ordine è stato diramato nel timore di ritorsioni da parte dell’Iran o di attacchi coordinati da gruppi alleati come Hezbollah, le milizie sciite in Iraq o i ribelli Houthi in Yemen. Anche le ambasciate americane in varie capitali sono state rafforzate, mentre le forze USA in Giappone, Corea del Sud, Bahrain, Qatar e Germania hanno ricevuto istruzioni per operare in stato di prontezza permanente.

L’Iran ha risposto con fermezza. Il presidente Masoud Pezeshkian ha ribadito che Teheran “non rinuncerà in nessuna circostanza” al proprio programma nucleare, pur dichiarandosi “pronto al dialogo”. Nel frattempo, ha confermato la volontà di proseguire le rappresaglie militari contro Israele.

La Repubblica Islamica sarebbe inoltre pronta a scatenare rappresaglie asimmetriche “senza limiti e senza restrizioni” se il prossimo obiettivo di USA e Israele dovesse essere l’86enne ayatollah Ali Khamenei, come ha riferito “un alto funzionario” di Teheran citato in forma anonima da Reuters. Si tratta “della più rossa delle linee rosse”, ha ammonito la fonte, aggiungendo che “qualunque mossa contro il supremo leader chiuderebbe la porta a ogni negoziato e innescherebbe una risposta senza limiti e senza restrizioni”.

Prima dell’intervento americano, l’aviazione israeliana aveva colpito obiettivi strategici nel sud dell’Iran. Teheran ha risposto lanciando missili e droni contro obiettivi israeliani. Israele ha annunciato l’eliminazione di tre alti comandanti della Forza Quds: Mohammed Said Izadi, Behnam Shahriyari e Aminpour Joudaki. L’Iran non ha ancora confermato ufficialmente le morti.

Il presidente del Joint Chiefs of Staff, Dan Caine, ha svelato il nome dell’operazione durante un briefing al Pentagono, definendola una missione “complessa e ad alto rischio”, portata a termine con “abilità e disciplina eccezionali” dalle forze congiunte statunitensi.

Secondo quanto riferito da Caine, alla mezzanotte tra venerdì e sabato, un’imponente formazione di bombardieri B-2 è decollata dagli Stati Uniti continentali con l’obiettivo di mantenere l’effetto sorpresa. Poche ore dopo, intorno alle 17:00 (EST) di sabato (le 23:00 in Italia), un sottomarino americano presente nell’area di competenza del Comando Centrale ha lanciato oltre due dozzine di missili da crociera Tomahawk contro infrastrutture chiave nella zona di Isfahan, in Iran.

Gli attacchi contro i tre principali siti dell’infrastruttura nucleare iraniana sono avvenuti tra le 18:40 e le 19:05 (EST), corrispondenti alle 2:10 del mattino ora locale iraniana. I bombardieri hanno lasciato lo spazio aereo iraniano intorno alle 19:30 (EST).

Pete Hegseth, portavoce al briefing, ha affermato che le ambizioni nucleari iraniane sono state “obliterate”, definendo l’operazione “audace e brillante”, frutto della pianificazione del presidente Trump. “La deterrenza americana è tornata”, ha aggiunto, parlando di un’azione “incredibilmente riuscita” che ha richiesto mesi e settimane di posizionamento militare.

Nel caos crescente, il Dipartimento di Stato ha avviato l’evacuazione dei cittadini statunitensi da Israele e dalla Cisgiordania. L’ambasciatore americano a Gerusalemme, Mike Huckabee, ha invitato i connazionali a registrarsi per lasciare il Paese, tramite voli charter, navi da crociera o aerei governativi.

Due funzionari israeliani hanno dichiarato alla CNN che si aspettano un coinvolgimento prolungato degli Stati Uniti nella guerra. La valutazione è condivisa da diverse agenzie d’intelligence, che hanno rilevato movimenti navali nel Mediterraneo orientale e intensi traffici aerei da basi in Inghilterra e nel Golfo.

Il presidente della Camera Mike Johnson ha difeso l’operazione, dichiarando su X che l’azione “dimostra che il presidente Trump fa sul serio. Ha dato ogni opportunità al regime iraniano per trattare, ma si sono rifiutati di collaborare”.

Anche il leader della maggioranza al Senato John Thune ha espresso il proprio sostegno: “Stiamo agendo per garantire che l’Iran non ottenga mai un’arma nucleare. Prego per il nostro personale militare coinvolto”.

Tuttavia, non sono mancate le critiche. Il deputato repubblicano Thomas Massie ha definito l’attacco “incostituzionale”, sottolineando che non è stata chiesta alcuna autorizzazione al Congresso. Sulla stessa linea il democratico Jim Himes, membro della Commissione Intelligence della Camera, che ha scritto: “La mia attenzione su questa questione viene PRIMA che cadano le bombe. Punto e basta”.

La decisione di Trump segna uno spartiacque non solo per la politica estera americana, ma per i complicatissimi equilibri del Medio Oriente. Dopo anni di retorica “America First” e promesse di disimpegno, il capo della Casa Bianca si ritrova ora coinvolto in una guerra che rischia di allargarsi e travolgere l’intera regione.

Le prossime ore saranno decisive per capire se si è trattato di un’azione circoscritta o dell’inizio di un nuovo capitolo della presenza militare americana in Medio Oriente. Un capitolo che, come in passato, rischia di riscrivere anche gli equilibri politici interni degli Stati Uniti.

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Marco Giustiniani

Marco Giustiniani

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