A causa dell’aggravarsi del conflitto con l’Iran e alla chiusura dello spazio aereo, gli Stati Uniti hanno finalmente avviato operazioni ufficiali per evacuare i propri cittadini rimasti bloccati in Israele. Dopo giorni di incertezza, l’ambasciata americana a Gerusalemme ha comunicato di essere al lavoro per organizzare voli speciali e collegamenti via mare destinati a facilitare i rientri in patria. Si tratta del primo intervento strutturato da parte del Dipartimento di Stato, in risposta a una situazione che lasciava migliaia di americani senza indicazioni né assistenza logistica.
Le autorità statunitensi hanno suggerito, a chi desidera lasciare il Paese, di registrarsi attraverso appositi canali ma non sono stati forniti dettagli sui tempi precisi di partenza o sul numero di posti disponibili. L’annuncio è arrivato mentre gli scontri continuavano per il sesto giorno consecutivo, con attacchi aerei incrociati e crescenti timori internazionali su un possibile coinvolgimento diretto dell’America nel conflitto.
A colmare il vuoto operativo lasciato nei primi giorni è stato in parte lo Stato della Florida, che ha agito in autonomia attraverso un piano straordinario di evacuazione. Il governatore Ron DeSantis ha coordinato il rientro di circa 1.500 giovani di origine ebraica, partecipanti al programma educativo Birthright Israel. I ragazzi sono stati trasferiti via mare dalla costa israeliana fino a Cipro, a bordo della nave da crociera Crown Iris, scortata dalla marina militare. Da lì, hanno proseguito il viaggio con quattro voli charter diretti all’aeroporto internazionale di Tampa.
Il successo di questa operazione è stato possibile anche grazie al contributo decisivo di due organizzazioni non profit, Grey Bull Rescue e Project Dynamo, attive sul campo e nei paesi confinanti. Le associazioni hanno collaborato con le autorità locali per localizzare e assistere gli americani in difficoltà, fornendo moduli di evacuazione e supporto logistico.
La Florida Division of Emergency Management, l’agenzia statale incaricata di coordinare tutte le attività legate alla prevenzione, preparazione, risposta e recupero in caso di emergenze, ha confermato di essere impegnata nel coordinamento degli sforzi, mentre a Tampa è stato riattivato un centro operativo multi-agenzia, già utilizzato nell’ottobre 2023 per il rimpatrio degli statunitensi durante l’attacco di Hamas.
In parallelo, si moltiplicano le attività diplomatiche internazionali: altri paesi, come India e Cina, hanno già messo in atto piani di trasferimento via terra attraverso rotte che conducono verso l’Armenia o altri Stati limitrofi. Tuttavia, l’assenza di una rappresentanza diplomatica statunitense in Iran complica ulteriormente qualsiasi possibile intervento a favore degli americani presenti.
Nel frattempo, Israele ha intensificato la propria offensiva su Teheran, colpendo oltre venti obiettivi militari considerati strategici per il programma nucleare iraniano. La risposta di Teheran non si è fatta attendere, aggravando il bilancio delle vittime da entrambe le parti e aumentando la pressione su Washington affinché intervenga non solo con dichiarazioni, ma anche con scelte strategiche.
Il contesto resta instabile e in continua evoluzione. Quello che fino a pochi giorni fa sembrava un conflitto regionale rischia ora di trasformarsi in uno scenario più ampio, con conseguenze dirette per migliaia di stranieri presenti nell’area. L’attivazione dei rimpatri rappresenta un passo necessario, ma non ancora sufficiente.