Arrivano da Teheran immagini di morti, feriti, devastazione anche se la rete internet è in parte stata bloccata. Immagini simili arrivano da Israele dove una ferrea censura militare è all’opera per far mostrare solo una parte, quella diciamo civile, dei danni provocati dai missili e droni che continuano ad arrivare su Israele come risposta alla decisione del governo Netanyahu, va ricordato, di colpire l’antica Persia.
“Vogliamo abbattere il regime degli Ayatollah” , grida il premier israeliano e ripetono i suoi ministri. Non solo quelli più a destra. Come dice il noto storico israeliano Benny Morris, buona parte degli ebrei israeliani appoggiano l’intervento contro l’Iran anche quelli relativamente pochi che si dicono contrari alla guerra ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania.
Lontano dal Vicino Oriente, il presidente americano Trump, l’unico a poter veramente influire sulla guerra, saltella in modo isterico sullo scacchiere mediorientale. Cautela da una parte, dall’altro il desiderio di apparire co-vincitore di un conflitto che è stato avviato nonostante la sua volontà confusa dal premier israeliano. Entrerà in guerra contro l’Iran anche gli Stati Uniti? Tutte le indicazioni, al momento, puntano in questa direzione. Nei prossimi giorni sapremo di più. E sapremo anche quanto Israele dovrà spendere per riparare i danni provocati dalle azioni iraniane molto più precisi e devastanti da quello che aveva messo in conto.
Israele, al contrario dell’Iran, è geograficamente piccolo e molte delle sue strutture militari e scientifiche sono facilmente individuabili. Fin dalla sua prima risposta agli attacchi israeliani, i missili iraniani sono riusciti a centrare il ministero della difesa israeliano nel cuore di Tel Aviv, un centro di ricerche scientifiche a poche decine di chilometri più a sud. Altri obbiettivi strategici sono stati distrutti o danneggiati. Di molte altre forse sapremo qualcosa a guerra finita quando la censura non sarà sufficiente per nascondere i danni.
Morti e feriti, per ora, sono relativamente pochi perché tutte le case nelle comunità ebraiche hanno rifugi. Le stesse difese, va detto, non esistono nelle comunità musulmane – arabi e beduini – che sono quasi il venti per cento della popolazione e che hanno protestato in questi giorni esortando il governo israeliano a prendere maggiore cura di loro.
Gli arabi – i palestinesi – sono una minoranza in Israele, come gli ebrei sono una minoranza in Iran ma in alcune città come Teheran, molto presenti con i simboli della loro religione e identità. Tra 17.000 e 25.000 ebrei iraniani vivono nella capitale (10 milioni di abitanti in tutto), a Isfahan, Shiraz, Hamedan e Tabriz. Dopo Israele, si tratta della più grande popolazione ebraica del Medio Oriente e il parlamento iraniano, chiamato Majlis, ha un seggio riservato oro. A Teheran ci sono almeno 50 sinagoghe sparse in tutta la città e la comunità ebraica gestisce anche un ospedale nella capitale a disposizione di tutti indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa. I legami ebraici con l’Iran, l’antica Persia, risalgono a 2.700 anni fa.
Così come i missili lanciati dall’Iran hanno colpito comunità arabe in Israele, molti ebrei di origine iraniana in Israele temono che gli attacchi sempre meno mirati israeliani possano provocare morti e danni ai loro parenti o amici nel loro paese d’origine.