Tra le montagne silenziose di Kananaskis, una remota località canadese, scelta come sede del G7, i leader mondiali si sono confrontati tra misure di sicurezza eccezionali e una crescente tensione geopolitica. A sorprendere più degli scambi di accuse o delle minacce di nuovi dazi è stata un’insolita armonia: quella tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, che finora si erano spesso scontrati su economia e relazioni internazionali.
Durante i lavori del summit, la presidente della Commissione europea ha infatti mostrato una sorprendente apertura verso le posizioni del presidente statunitense, riconoscendo la legittimità di alcune sue critiche nei confronti della Cina. Von der Leyen ha affermato che l’attenzione ossessiva tra partner occidentali sui dazi rischia di distrarre dalla vera minaccia comune: un sistema commerciale globale minato da pratiche sleali e coercitive, in particolare quelle cinesi.
In merito a quanto riportato dalla testata giornalistica, Politico, la leader europea avrebbe sottolineato come il presidente Trump abbia colto nel segno nel denunciare le distorsioni introdotte da Pechino, colpevole, a suo avviso, di ignorare sistematicamente le regole degli scambi internazionali. Non solo: von der Leyen ha accusato il “Paese di Mezzo” di restringere l’export di materie prime strategiche, indispensabili per settori chiave come la mobilità elettrica e le energie rinnovabili. Un’accusa pesante, che riecheggia quella di “arma economica” puntata contro i concorrenti occidentali.
Le restrizioni cinesi sui magneti permanenti, entrate in vigore ad aprile, sarebbero solo l’ultimo tassello di una strategia più ampia: quella di inondare i mercati globali con prodotti a basso costo, sovvenzionati dallo Stato, con l’intento, secondo la funzionaria tedesca, di dominare le filiere industriali e logistiche mondiali. Un atteggiamento che, per la presidente dell’UE, non rappresenta una sana concorrenza, bensì una distorsione deliberata del mercato globale.
Tra le ipotesi più discusse sul tavolo del G7, quindi, quella di introdurre dazi comuni al 10% su alcune importazioni dal colosso asiatico, in particolare negli apparati più strategici come batterie e tecnologie verdi.
Una posizione che, seppur inaspettata, sembra avvicinare l’Europa all’asse assertivo degli Stati Uniti, proprio mentre il politico repubblicano, al suo primo G7 del suo secondo mandato, rilancia la pressione con toni familiari ma rinnovata urgenza. Dopo una giornata di confronti serrati, il leader del GOP ha lasciato il vertice in anticipo, volando a Washington per gestire direttamente la crescente crisi in Medio Oriente. Ai giornalisti ha però lasciato un messaggio chiaro: l’Unione Europea non ha ancora presentato un’offerta commerciale equa, e senza un accordo entro luglio, le tariffe potrebbero salire fino al 50% sulle importazioni europee.
La conferenza avrebbe dovuto affrontare il nodo del commercio, la guerra in Ucraina e la crescente tensione tra Israele e Iran. Ma è stato proprio quest’ultimo fronte a far deragliare l’agenda: con l’Iran accusato di intensificare il proprio programma nucleare, Israele ha lanciato attacchi preventivi, dando inizio a una spirale di conflitti tuttora in corso.