Gli Stati Uniti “sanno esattamente dove si nasconde” la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei, ma non intendono eliminarlo “almeno per ora”. Lo ha scritto Donald Trump martedì in un messaggio pubblicato su Truth mentre il conflitto tra Israele e Iran entra nel sesto giorno e la Casa Bianca, secondo indiscrezioni rilanciate dai media USA, valuta di entrare in guerra.
“È un bersaglio facile, ma per ora è al sicuro. Non vogliamo colpirlo – o meglio, ucciderlo – almeno non adesso”, ha scritto il presidente statunitense riferendosi alla guida religiosa di Teheran, aggiungendo che Washington non tollererà “lanci di missili su civili o soldati americani. La nostra pazienza sta finendo.”
Parole che segnano un netto irrigidimento della posizione dell’amministrazione GOP. Poco dopo, lo stesso Trump ha invocato la “resa incondizionata” dell’Iran, rilanciando l’idea di un’azione fulminea per porre fine al programma nucleare di Teheran. Lunedì notte aveva già invitato i 9,5 milioni di abitanti della capitale iraniana a fuggire immediatamente, annunciando il suo rientro anticipato da Ottawa, dove era in corso il vertice del G7.
Secondo fonti vicine all’amministrazione, l’obiettivo ora sarebbe quello di far sì che Israele “infligga un colpo permanente” al programma atomico iraniano, anche con l’eventuale supporto diretto degli Stati Uniti: si valuta, tra le ipotesi, la fornitura a Israele di bombe penetranti in grado di colpire i siti nucleari costruiti in profondità. Il presidente stesso, parlando con i giornalisti sull’Air Force One durante il volo di rientro, ha espresso frustrazione per l’atteggiamento iraniano: “Dovevano concludere l’accordo. Gliel’avevo detto. Ora non sono affatto dell’umore giusto per negoziare.”
Poche ore prima l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) aveva intanto reso noto che gli ultimi bombardamenti israeliani hanno prodotto “impatti diretti” sulle sezioni sotterranee dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, uno dei siti più sensibili del programma nucleare iraniano. È la prima volta che un organismo internazionale conferma l’estensione dei danni inflitti non solo alle strutture in superficie — già compromesse nei giorni scorsi — ma anche alle aree interrate destinate all’arricchimento, da sempre considerate tra le più protette.
“Dall’analisi delle immagini satellitari raccolte dopo gli attacchi di venerdì – ha riferito l’Agenzia in una nota – emergono elementi che indicano impatti diretti sulle sale sotterranee del sito”. Oltre ai danni già rilevati nei locali tecnici e nei sistemi elettrici esterni, dunque, il raid avrebbe intaccato anche il cuore operativo dell’impianto.
Nel frattempo, nelle scorse ore l’esercito israeliano ha emesso un avviso di evacuazione rivolto a circa 330.000 residenti di un quartiere centrale della capitale iraniana, dove hanno sede emittenti televisive statali, uffici di polizia e tre grandi ospedali, tra cui uno gestito direttamente dai pasdaran. Le autorità sanitarie di Teheran hanno annullato le ferie per medici e infermieri, pur senza diffondere indicazioni ufficiali rivolte alla popolazione civile.
Martedì diversi media iraniani hanno riferito di un’interruzione diffusa di Internet, anche se non è chiaro cosa l’abbia causata.
Secondo fonti israeliane, tra gli obiettivi colpiti nelle ultime ore figurerebbe anche il generale Ali Shadmani, appena nominato a capo del comando Khatam al-Anbiya. L’Iran, al momento, non ha confermato la notizia. È la più recente di una serie di perdite ai vertici militari e paramilitari della Repubblica islamica registrate dall’inizio dell’offensiva.
Finora le operazioni israeliane, agevolate dall’intervento di agenti del Mossad (servizio segreto estero di Tel Aviv) in territorio iraniano, hanno portato alla morte di diversi esponenti apicali dell’apparato militare e nucleare iraniano. Tra i decessi confermati ci sono quelli del Capo di Stato Maggiore Mohammad Hossein Bagheri, ucciso nella prima ondata di raid, e del comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami, considerato uno degli uomini più vicini a Khamenei.
Neutralizzati anche Gholamali Rashid, responsabile del quartier generale interforze, Ali Hajizadeh, capo della forza aerospaziale del Corpo, e Mohammad Kazemi, numero uno dell’intelligence dei Pasdaran. Secondo fonti interne israeliane, sarebbero stati uccisi anche almeno 14 scienziati nucleari di primo piano, tra cui Fereydoun Abbasi, ex direttore dell’Agenzia Atomica iraniana, già sopravvissuto a un attentato nel 2010.
Lunedì, il portavoce delle Forze armate israeliane, generale Effie Defrin, ha dichiarato che Israele ha “ottenuto il controllo dello spazio aereo sopra Teheran”. Secondo l’esercito, più di un centinaio di lanciatori di missili superficie-superficie sarebbero stati neutralizzati, alcuni dei quali pronti al lancio. Sempre secondo fonti israeliane, dieci centri operativi della Forza Quds, l’unità che coordina le operazioni esterne delle Guardie rivoluzionarie, sono stati colpiti in pieno centro cittadino.
Nel corso di un’operazione, lunedì, un missile ha raggiunto la sede della televisione pubblica iraniana, interrompendo una diretta. L’esercito israeliano ha giustificato l’attacco affermando che l’emittente sarebbe stata utilizzata per finalità propagandistiche.
A margine delle operazioni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che i raid hanno “ritardato di molto” i progressi iraniani sul nucleare, aggiungendo di essere in “contatto quotidiano” con il presidente Trump.
Teheran insiste sulla natura civile del proprio programma atomico. Di opinione diversa l’AIEA, che ha segnalato che l’Iran dispone attualmente di uranio arricchito al 60%. Una soglia che, se ulteriormente incrementata, lo avvicinerebbe pericolosamente al livello necessario (90%) per la costruzione di ordigni nucleari.
Nel fine settimana, uno degli attacchi ha colpito il giacimento di gas South Pars, nella regione meridionale del Paese, provocando un incendio. L’episodio ha avuto ripercussioni sui mercati, contribuendo all’aumento del prezzo del greggio: il Brent è salito fino a 74,60 dollari al barile. Uno scenario di ulteriore destabilizzazione potrebbe derivare da una chiusura dello Stretto di Hormuz, il passaggio marittimo da cui transita circa un terzo del petrolio trasportato via mare a livello globale.
Un deputato conservatore iraniano, Esmail Kosari, ha dichiarato che la chiusura è “una possibilità concreta”, anche se una simile mossa andrebbe a danneggiare anche le esportazioni energetiche di Teheran, in particolare verso la Cina. Secondo Goldman Sachs, uno scenario di blocco parziale potrebbe spingere il prezzo del petrolio oltre i 100 dollari al barile.
Il rincaro delle materie prime energetiche rischia di alimentare un’ulteriore impennata dell’inflazione nei Paesi importatori. La crisi ha avuto un impatto immediato anche sul traffico aereo. Iran, Iraq e Giordania hanno chiuso il proprio spazio aereo. Le principali compagnie della regione, tra cui Emirates, Etihad e Qatar Airways, hanno annullato i voli da e per Iran, Iraq, Siria e Libano. Alcune tratte tra Asia ed Europa sono state deviate per evitare l’area di rischio.
In un nuovo messaggio pubblicato sul suo social network Truth Social, Trump ha annunciato che “gli attacchi già pianificati saranno ancora più duri”, invitando Teheran a negoziare “prima che non resti più nulla”.
Da Teheran, il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha replicato che “se Trump è serio sulla diplomazia, i prossimi passi saranno decisivi”, sottolineando che “basterebbe una telefonata da Washington per fermare Netanyahu”.
Nel frattempo, la Casa Bianca ha fatto sapere di aver sospeso i colloqui con l’Iran previsti per il fine settimana. Araghchi ha comunque lasciato intendere che Teheran potrebbe interrompere gli attacchi se Israele facesse altrettanto.
A Washington, il segretario alla Difesa Pete Hegseth è stato convocato alla Situation Room per un vertice d’urgenza con il presidente e i vertici della sicurezza nazionale. In un’intervista televisiva, ha dichiarato che le misure in corso mirano a “garantire la sicurezza del nostro personale”.
Trump non ha escluso l’invio di una delegazione negoziale. “Potrei mandare il vicepresidente Vance e l’inviato speciale Witkoff”, ha detto, “ma dipenderà da cosa troverò al mio ritorno”.