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Da senatore a detenuto: il crollo di Bob Menendez, “Gold Bar Bob”

Martedì è entrato nel carcere federale di Schuylkill in Pennsylvania. La moglie Nadine, anche lei colpevole, riceverà la sentenza l’11 settembre

Massimo JausbyMassimo Jaus
Menendez tira dritto dopo l’incriminazione per corruzione: “Non mi dimetto”

Bob Menendez - ANSA

Time: 3 mins read

Martedì mattina l’ex senatore democratico del New Jersey Bob Menendez ha varcato il cancello del carcere federale di Schuylkill, in Pennsylvania, per iniziare a scontare una condanna di 11 anni. Una fine ingloriosa per uno dei politici più longevi del Partito Democratico, ora conosciuto più per i lingotti d’oro nel suo armadio che per le leggi che ha promosso in quasi tre decenni al Congresso.

Nato da immigrati cubani, Menendez era l’incarnazione del sogno americano: sindaco di Union City, deputato, senatore, presidente della Commissione Esteri del Senato. Ma è proprio il potere che aveva conquistato che ha venduto in cambio di contanti, oro, una Mercedes e lussuosi favori, trasformando l’ufficio del senatore in un bancomat personale.

Nel giugno 2022, l’FBI trovò nella sua casa mezzo milione di dollari in contanti nascosti in giacche e scarpe, 13 lingotti d’oro e prove di relazioni finanziarie opache con uomini d’affari del New Jersey e funzionari egiziani. L’accusa più grave? Aver agito come agente straniero per l’Egitto, mentre sedeva in una delle commissioni più sensibili per la sicurezza nazionale.

Foto dei lingotti d’oro trovati dall’FBI nella perquisizione a casa del senatore Menendez – Credit: FBI

Non era la prima volta che Menendez affrontava un’accusa di corruzione. Nel 2015, era stato incriminato per aver ricevuto favori da un oculista della Florida, tra cui voli privati, soggiorni in hotel di lusso e centinaia di migliaia di dollari in contributi elettorali. Il processo si concluse nel 2017 con una giuria in stallo: i giurati non riuscirono a raggiungere l’unanimità per una condanna, costringendo il giudice a dichiarare il “mistrial”. I pubblici ministeri scelsero di non ripetere il processo. Nonostante l’ammonizione da parte del Comitato Etico del Senato, Menendez fu comunque rieletto nel 2018.

Il secondo processo, durato nove settimane, si è concluso a luglio dello scorso anno con un verdetto schiacciante: colpevole di tutti i 16 capi d’imputazione, tra cui cospirazione, corruzione, ostruzione alla giustizia e attività come agente straniero. La giuria ha ritenuto che Menendez, insieme alla moglie Nadine e agli imprenditori Fred Daibes, Wael Hana e José Uribe, avesse gestito un sofisticato schema di tangenti in cambio di protezioni politiche, concessioni commerciali e accesso privilegiato ai vertici del potere statunitense.

Durante la perquisizione, alcuni pacchetti di denaro riportavano le impronte digitali di Daibes; i lingotti d’oro erano numerati e riconducibili direttamente ai suoi “benefattori”. E mentre Menendez cercava di giustificare la presenza di così tanto denaro come un’abitudine familiare “nata dalla sfiducia verso le banche cubane”, per la giuria fu chiaro: non era prudenza, ma corruzione.

Dopo la condanna, Menendez ha cercato invano di ottenere la libertà su cauzione in attesa dell’appello. Ha anche tentato un disperato riavvicinamento a Donald Trump, elogiandone le posizioni contro la “corruzione del sistema giudiziario” e cancellando post su X in cui accusava i procuratori di averlo preso di mira per motivi politici.

Ma la Casa Bianca non ha raccolto l’appello. “Gold Bar Bob”, come lo ha soprannominato la stampa e lo stesso suo avvocato, è rimasto solo, abbandonato anche dal Partito Democratico che, tramite il governatore del New Jersey Phil Murphy e il leader del Senato Chuck Schumer, ha chiesto le sue dimissioni “immediate”.

Le banconote trovate nella perquisizione dell’FBI nella casa del senatore Menendez – Credit: FBI

L’aspetto più grave del caso resta il ruolo di Menendez come canale d’influenza per l’Egitto, con incontri con ufficiali dell’intelligence egiziana, pressioni per sbloccare aiuti militari per 300 milioni di dollari e favoritismi per l’ottenimento di monopoli commerciali da parte di imprenditori egiziani che operavano negli Stati Initi. Un mix di corruzione interna e vulnerabilità esterna che ha fatto suonare molti campanelli d’allarme nei servizi di sicurezza nazionale.

Secondo Tom Malinowski, ex deputato democratico e già funzionario del Dipartimento di Stato, il caso Menendez non è solo un esempio di corruzione, ma un campanello d’allarme per il rischio di interferenze straniere nella politica americana.

La moglie dell’ex senatore, Nadine Menendez, è stata riconosciuta colpevole in un processo separato e attende la sentenza per l’11 settembre. Secondo i pubblici ministeri, fu lei a orchestrare molti dei passaggi chiave dell’accordo con i tre imprenditori coinvolti, ottenendo benefici diretti tra cui rate del mutuo, una Mercedes Benz e un impiego fittizio. Il suo processo era stato inizialmente rinviato per motivi di salute, un tumore al seno in fase avanzata, ma il giudice ha successivamente stabilito che poteva proseguire.

Nonostante la condanna, Menendez non ha escluso una candidatura come indipendente per le elezioni di novembre, una mossa giudicata da molti come l’estremo tentativo di conservare visibilità e cercare – forse – un’improbabile riabilitazione pubblica.

Nel frattempo, gli avvocati del senatore hanno annunciato che presenteranno appello. Ma per ora, il verdetto sembra segnare la fine definitiva di una carriera durata quasi mezzo secolo.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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