La guerra fra Iran e Israele non mette a rischio solo la stabilità del Medio Oriente e del mondo, ma minaccia direttamente anche buona parte del commercio mondiale, soprattutto quello di petrolio e gas. Attraverso lo Stretto di Hormuz, sul quale Teheran ha un’influenza direttissima, passa più del 20% del petrolio e più del 10% di gas prodotti a livello mondiale, secondo i dati della U.S. Energy Information Administration.
Lo stretto di Hormuz è uno dei passaggi di mare più critici al mondo per la stabilità dei commerci e per l’approvvigionamento energetico. Mette in collegamento il Golfo di Oman e il Golfo Persico, ha una lunghezza di 167 chilometri e una larghezza che varia da un massimo di 96 a un minimo di 39 chilometri. Domenica, mentre l’Iran veniva attaccato da Israele intorno alle 18 italiane, circa 500 fra petroliere, portacontainer e altre navi transitavano nel Golfo Persico. Le navi petroliere – circa 2/3 del totale delle imbarcazioni che transitano nell’area – coinvolgono tutti i produttori dell’area: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Iraq e Iran, rendendo la zona ad altissimo valore strategico, sia per chi vende che per chi acquista gli idrocarburi fondamentali per le economie di mezzo mondo.
Ogni giorno attraversano lo stretto circa 15 milioni di barili e ogni mese vi transitano una media di 3.000 navi. L’Iran, che si affaccia direttamente sia sul Golfo di Oman che su quello Persico, minaccerebbe la stabilità delle rotte commerciali qualora decidesse di chiuderne il transito attaccando le navi da terra o dal mare, dando luogo a una simile minaccia i prezzi degli idrocarburi avrebbero un impatto immediato al rialzo. Non a caso insistono da anni diverse missioni militari volte a salvaguardare la viabilità marittima dell’area.
Fra queste c’è la International Maritime Security Construct (Imsc), una coalizione di 12 Paesi guidata dagli Stati Uniti. Costituita nel 2019 a seguito degli attacchi alla petroliera giapponese e a quella norvegese, ha l’obiettivo, attraverso la sua componente operativa (Coalition Task Force SENTINEL) di pattugliare le acque dell’area. Alla formazione a guida statunitense si aggiunge quella europea, la European-led Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASoH). Nata nel 2020, la coalizione ha lo stesso obiettivo della Imsc e ha il proprio quartier generale negli Emirati Arabi Uniti. L’Italia non fornisce mezzi navali o aerei dal giugno 2024 ma continua a sostenere l’iniziativa. L’Unione Europea guida anche l’Operazione Aspides, istituita nel febbraio 2024 a seguito dell’aumento delle tensioni mediorientali che interessavano anche lo stretto di Baab al-Mandab, lo zona dove si sono verificati gli attacchi degli Houti yemeniti. Quest’ultima ha simili obiettivi ma l’area coperta è più vasta: oltre al Golfo Persico e al Golfo di Oman, comprende la tutela del Mar Rosso, del Golfo di Aden e del Mar Arabico.
Lo Stretto di Hormuz è già stato oggetto di vari episodi di destabilizzazione. Fino a un anno fa l’Iran ha sequestrato la nave mercantile MSC Aries dell’imprenditore Gianluigi Aponte, ma soprattutto le tensioni più forti sono avvenute durante la guerra fra Iran e Iraq (1980-1988) e durante le due guerre del Golfo (1991-2003). Gli stretti – in inglese definiti choke points, cioè “punti di strangolamento” – sono zone altamente critiche per il commercio mondiale e per la stabilità geopolitica. Tuttavia, le evoluzioni della guerra fra Israele e Iran fanno pensare che Teheran sia più orientata a soluzioni di compromesso, almeno in queste fase iniziali.