Attivista venezuelano in cerca di asilo arrestato dalle autorità Usa a poche settimane dall’udienza
Gregory Sanabria, torturato dal regime Maduro, secondo quanto confermano Onu e Amnesty, è stato fermato durante un controllo di routine a Houston: era in attesa della sua prima udienza per l’asilo il 1° luglio. Il suo caso è profondamente inquietante. Sanabria è un dissidente politico venezuelano che partecipò alle proteste contro il regime di Maduro nel 2014, e fu torturato e picchiato presso El Helicoide, un noto centro di detenzione usato dai servizi di intelligence del governo. Ha 31 anni ed è in attesa di udienza preliminare per la richiesta di asilo, già fissata per il prossimo 1 luglio. Ma il 12 giugno, durante un normale controllo con l’ICE (Immigration and Customs Enforcements) a Houston, è stato arrestato. Secondo quanto ha riferito alla sua famiglia durante una breve telefonata che gli è stata concessa, un funzionario dell’immigrazione gli avrebbe comunicato che potrebbe essere espulso verso El Salvador, nonostante sia cittadino venezuelano. L’ICE non commenta ma online si legge che attualmente è detenuto presso il Montgomery Processing Center di Houston. Il suo avvocato, Kelvi Zambrano, che si trova a Washington e sta lavorando con la famiglia, ha dichiarato di temere che la minaccia di deportazione in El Salvador sia un tentativo di indurre angoscia psicologica per forzarlo a firmare un ordine di auto-deportazione verso il Venezuela. Zambrano ha inoltre annunciato che si rivolgerà alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani e al Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura per chiedere misure cautelari a protezione di Sanabria.
Il caso è inquietante perché smentisce che l’ICE stia agendo contro “gli illegali”. Sanabria non è illegale, è in attesa di udienza già concessagli per la richiesta di asilo. In base alla convenzione Onu sul diritto internazionale dei rifugiati, è illegale deportare una persona in un paese dove rischia di subire tortura o persecuzione. Il rimpatrio forzato di Sanabria verso il Venezuela o El Salvador (che non è nemmeno il suo paese d’origine) potrebbe costituire una grave violazione del principio di non-refoulement. La sua detenzione o possibile deportazione prima che la sua richiesta sia stata esaminata è una violazione dei i suoi diritti legali.
Migranti da espellere? Trump però li usa nelle sue aziende
Giovedì Donald Trump ha riconosciuto che la sua linea dura sull’immigrazione sta creando difficoltà a settori come l’agricoltura e l’industria dell’ospitalità nel trattenere lavoratori esperti. Tuttavia, le sue aziende continuano a impiegare manodopera straniera tramite visti temporanei: dal 2008, almeno 1.880 assunzioni stagionali, 382 durante il suo primo mandato. Nel 2025, la sua cantina in Virginia ha già richiesto 31 lavoratori temporanei. Trump aveva accusato Biden di far entrare “criminali” al posto di “ottimi lavoratori”, mentre difende i programmi H-2A e H-2B, che le sue stesse aziende utilizzano per reclutare personale estero in assenza di candidati statunitensi. Mar-a-Lago e Bedminster, due delle sue proprietà più frequentate, sono tra quelle che più ricorrono a questi visti. Entrambe sono state anche al centro di un’indagine federale sul personale assunto, poi archiviata dopo la sua rielezione.
La parata… e il Papa
Mentre l’America attende col fiato sospeso la parata militare a Washington e le proteste in tutti gli States, sabato Papa Leone XIV si rivolgerà ai giovani di Chicago con un messaggio video alle 14:30 ora locale (21:30 in Italia). Il discorso sarà trasmesso in diretta al Rate Field, lo stadio dei Chicago White Sox, nell’ambito di un grande evento pubblico organizzato per celebrare la sua elezione. I cancelli apriranno alle 12:30, la messa comincerà alle 16:00. Il videomessaggio papale sarà l’apertura dell’evento.
Trump punta al suo brand telefonico
Donald Trump ha recentemente avviato un’operazione sorprendente: attraverso DTTM Operations LLC, la struttura che gestisce i suoi marchi, ha depositato richieste di registrazione presso l’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti per “TRUMP” e “T1” come marchi legati a smartphone, custodie, caricabatterie e servizi telefonici wireless, nonché l’apertura di potenziali negozi al dettaglio.
E incassa milioni da chitarre, bibbie e orologi con il suo brand
Le rivelazioni finanziarie del presidente mostrano guadagni da capogiro derivanti da royalties su prodotti brandizzati, inclusi orologi, sneakers, chitarre e persino una Bibbia. Secondo il documento, tra il 2024 e il 2025 ha incassato: 3 milioni di dollari dalla “Save America Bible”, 2,8 milioni da Trump Watches, 2,5 milioni da sneakers, 1,3 milioni da una chitarra autografata, oltre a un milione da una Bibbia “Trump edition” e più di un milione da trading card NFT.
Respinta a New York la richiesta di riesame del caso Carroll
A New York la Corte d’Appello del Secondo Circuito ha respinto con un voto di 8 a 2 la richiesta di Donald Trump di riesaminare il verdetto che nel 2023 lo ha ritenuto responsabile di aggressione sessuale e diffamazione ai danni della giornalista E. Jean Carroll, condannandolo a un risarcimento di 5 milioni di dollari. Carroll, 81 anni, ha accusato Trump di averla aggredita nel 1996 in un camerino di Bergdorf Goodman e di averla poi diffamata. L’ex presidente nega tutto e ha annunciato un ricorso alla Corte Suprema. Intanto si prepara un nuovo processo d’appello per un’ulteriore condanna da 83 milioni di dollari. Martedì esce Not My Type, il libro in cui Carroll racconta il processo con tono ironico e personale. Il suo avvocato: “Trump resta responsabile, nonostante ogni tentativo di ribaltare i verdetti”.
No alla “prova di identità” per le elezioni federali
Venerdì una giudice federale del Massachusetts ha sospeso l’ordine esecutivo di Donald Trump che imponeva nuovi vincoli per le elezioni federali, tra cui la prova documentata di cittadinanza per registrarsi al voto e l’esclusione delle schede arrivate dopo il giorno delle elezioni. La giudice Denise Casper ha accolto i ricorsi di diversi stati guidati da procuratori generali democratici, affermando che l’ordinanza “usurpa i poteri costituzionali degli stati”. Secondo la sentenza, il presidente non ha autorità in materia elettorale e le nuove regole comporterebbero costi e disagi ingenti. È il secondo stop legale alla direttiva, già parzialmente bloccata a Washington D.C. La Casa Bianca ha difeso l’ordine come “buon senso per proteggere il voto”, ma Letitia James, procuratrice generale di New York, ha replicato: “Nessun presidente può togliere al popolo americano il diritto a elezioni libere ed eque”.