Marelli, un tempo nota come la storica Magneti Marelli italiana (oggi non più in Italia) è la prima grande vittima dei dazi di Trump. L’azienda è entrata ufficialmente in Chapter 11, cioè ha dichiarato il fallimento negli Stati Uniti entrando in amministrazione concordata.
Marelli è fornitore global di componenti per Nissan e Stellantis con oltre 40mila dipendenti in fabbriche negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Asia: oggi realizza sistemi ad alta tecnologia per l’industria automobilistica. Ha accumulato quasi 5 miliardi di dollari di debiti. Oltre ai dazi voluti dall’amministrazione Trump ed entrati in vigore a marzo per i prodotti realizzati fuori dal territorio Usa, hanno pesato altri fattori: una catena di crisi tra Covid, scarsa domanda di veicoli elettrici e problemi nella filiera dei semiconduttori.
Magneti Marelli nacque oltre un secolo fa, nel 1919, su iniziativa di Giovanni Agnelli (il nonno dell’avvocato Gianni Agnelli) e Ercole Marelli; la società aveva legato la propria storia per decenni al gruppo Fiat. Nel 2019 la cessione alla giapponese Calsonic Kansei Holdings, società controllata dal fondo statunitense Kohlberg Kravis Roberts. Adesso Marelli Holdings prova a respirare con la protezione offerta dalla legge fallimentare Usa: beneficerà di 1,1 miliardi di finanziamento per ristrutturarsi e convertire parte del debito in capitale.
Potrebbe essere comprata dal colosso indiano Motherson, il cui nome gira da mesi. In Italia Marelli conta ancora 6.000 dipendenti di cui 1.600 nella zona di Venaria, cioè nei sobborghi di Torino.