Israele è pronta a sferrare un attacco militare contro l’Iran. Lo temono funzionari statunitensi ed europei, che nelle ultime ore hanno osservato segnali sempre più netti di un’escalation imminente. Washington, nel frattempo, ha evacuato personale diplomatico da Baghdad, autorizzando la partenza dei familiari dei militari di stanza in Bahrain e Kuwait.
Le tensioni si inseriscono in un quadro già compromesso: i negoziati indiretti tra Stati Uniti e Iran, mediati dall’Oman, rischiano di naufragare proprio nei giorni in cui era previsto un nuovo round di colloqui. E il clima è stato ulteriormente avvelenato dalla circostanza che giovedì mattina, il Consiglio dei governatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha ufficialmente dichiarato l’Iran in violazione dei suoi obblighi di non proliferazione, per la prima volta in quasi vent’anni.
La possibilità di un attacco contro le installazioni nucleari iraniane è da mesi sul tavolo del governo Netanyahu. Ma già mesi fa, secondo fonti americane, Donald Trump aveva respinto un primo piano elaborato da Israele, chiedendo tempo per negoziare.
“Voglio un accordo, non una guerra”, avrebbe ribadito il presidente anche due settimane fa in un colloquio con il premier israeliano. Eppure, da alcuni giorni, la posizione della Casa Bianca appare meno ottimista. Il rifiuto da parte della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei di accettare un compromesso sull’arricchimento dell’uranio ha incrinato la fiducia nella via diplomatica.
“L’Iran ha assunto una posizione inaccettabile”, ha dichiarato Trump lunedì, lasciando intendere che la pazienza americana si stia esaurendo. Il giorno dopo, lo stesso presidente ha ammesso in un’intervista podcast di sentirsi “meno fiducioso” sulla possibilità di raggiungere un’intesa.
La prospettiva di un attacco israeliano ha spinto la leadership iraniana a riunirsi d’urgenza. Secondo un alto funzionario, sarebbe già pronto un piano di rappresaglia che prevede il lancio immediato di centinaia di missili balistici contro obiettivi israeliani.
“Gli Stati Uniti dovranno lasciare la regione. Tutte le loro basi sono nel nostro raggio d’azione”, ha avvertito giovedì il ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh, aggiungendo che Teheran non farà alcuna distinzione tra Israele e i suoi alleati occidentali.
Per precauzione, il Dipartimento di Stato ha ordinato la partenza dei dipendenti non essenziali dall’ambasciata Usa a Baghdad e ha autorizzato l’evacuazione dei familiari dei militari americani a Bahrain e Kuwait. A Tel Aviv, Gerusalemme, Netanya e Be’er Sheva è stato imposto il divieto di spostarsi al di fuori di queste aree per il personale diplomatico e le famiglie.
L’ambasciata Usa in Israele ha emesso un avviso urgente ai cittadini americani, invitandoli a “mantenere elevata la vigilanza, conoscere i rifugi più vicini e prepararsi a incidenti senza preavviso come lanci di razzi, droni o fuoco di artiglieria”.
Intanto, nel Golfo, la marina americana monitora la situazione dal ponte della portaerei Carl Vinson, attualmente nel Mar Arabico con oltre 60 velivoli a bordo, tra cui caccia F-35.
A peggiorare la crisi, come detto, anche il voto dell’AIEA. La mozione, presentata da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, ha ottenuto 19 voti favorevoli, 11 astensioni e 3 voti contrari (Russia, Cina e Burkina Faso).
Il testo afferma che “le numerose inadempienze dell’Iran a partire dal 2019 nel fornire all’Agenzia collaborazione piena e tempestiva su materiale nucleare e attività non dichiarate… costituiscono una violazione dell’Accordo di Salvaguardia”.
Il riferimento è soprattutto ai tre siti dove l’agenzia ha rilevato tracce di uranio: secondo il rapporto riservato del 31 maggio, quei luoghi facevano parte di un “programma nucleare strutturato e non dichiarato” portato avanti fino ai primi anni Duemila.
Sia l’intelligence americana sia il direttore dell’AIEA Rafael Grossi ritengono che Teheran abbia condotto attività segrete fino almeno al 2003, con esperimenti proseguiti anche successivamente. Teheran nega da sempre qualsiasi ambizione militare.
Il voto di censura non implica automaticamente il rinvio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma alcuni diplomatici hanno lasciato intendere che un secondo testo sia già in preparazione. È lo stesso iter seguito nel 2005, prima del deferimento ufficiale del febbraio 2006.
L’Iran ha reagito annunciando nuove misure di rafforzamento del proprio programma atomico. “Abbiamo già informato l’AIEA dell’attivazione di un terzo sito sicuro per l’arricchimento”, ha dichiarato il portavoce Behrouz Kamalvandi, aggiungendo che le vecchie centrifughe di Fordo saranno sostituite con modelli avanzati.
Questo — ha sottolineato — aumenterà significativamente la produzione di materiale arricchito. Due esperti consultati dalla CBS hanno ricordato che il sito di Fordo, scavato sotto una montagna e protetto da difese aeree, è il più probabile candidato per una futura ‘fuga in avanti’ nucleare dell’Iran, nel caso decida di puntare all’arma atomica.
Secondo gli analisti, l’Iran ha ormai accumulato materiale sufficiente per alimentare almeno dieci testate nucleari. Il passo successivo — la costruzione dell’ordigno — richiederebbe ancora alcuni mesi, ma per Israele si è già oltre la soglia dell’inaccettabile.
Negli ultimi mesi, Israele ha inferto colpi durissimi alle milizie di Hamas e Hezbollah, tradizionali deterrenti armati di Teheran. Gli attacchi aerei israeliani hanno anche compromesso parte delle difese antiaeree iraniane, ma Teheran sta lavorando per ripristinarle.
Non è chiaro se Israele sarebbe in grado di colpire da solo gli impianti nucleari iraniani in modo decisivo. Ma secondo fonti americane citate dalla CBS, l’apparato israeliano sarebbe già “completamente pronto” a lanciare l’operazione.
Nel frattempo, il prezzo del petrolio ha superato i 68 dollari al barile, ai massimi da inizio aprile.