Elon Musk ci ripensa e torna sui suoi passi dopo giorni di scontro frontale con Donald Trump.
In un post pubblicato sulla piattaforma X, il patron di Tesla e SpaceX ha ammesso pubblicamente il proprio rammarico per i toni eccessivi utilizzati nei confronti del presidente: “Mi rammarico per alcuni dei miei post su Donald Trump della scorsa settimana. Sono andati troppo oltre”.
Il conflitto tra i due leader era esploso con violenza a partire dal 5 giugno, quando Musk aveva duramente criticato il nuovo piano di spesa pubblica promosso dalla Casa Bianca, definendolo “un disgustoso abominio” e chiedendo ai suoi seguaci di “punire politicamente” i parlamentari repubblicani che l’avevano sostenuto.
Il disegno di legge, ribattezzato da Trump “One Big Beautiful Bill”, è considerato una colonna portante della seconda amministrazione del presidente e punta a rilanciare settori strategici dell’economia americana facendo però aumentare in modo vertiginoso il deficit federale.
Le accuse del magnate sudafricano non si erano fermate lì. In uno dei post più controversi – poi cancellato – Musk aveva affermato che il nome di Trump compariva nei cosiddetti “Epstein file”, i documenti giudiziari relativi al caso del finanziere Jeffrey Epstein, morto misteriosamente in carcere nel 2019. Un attacco pesante, poi ritrattato.

La risposta di Trump non si era fatta attendere. Durante una conferenza stampa alla Casa Bianca con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente aveva espresso “profonda delusione” per l’atteggiamento di Musk, suggerendo che le critiche del miliardario fossero motivate da interessi personali, in particolare dalla cancellazione del credito fiscale per le auto elettriche contenuta nel bilancio, che penalizza Tesla.
Nonostante le scuse, il gelo tra i due sembra tutt’altro che sciolto. Se Trump ha lasciato uno spiraglio aperto — “Penso di potermi riconciliare con Elon Musk, ma la priorità è rimettere in sesto il Paese” —, il fronte conservatore è implacabile.
Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca e fedelissimo MAGA, è stato durissimo: “Bisogna sospendere il nulla osta di sicurezza di Musk, indagare per uso di droghe e rapporti con la Cina. È un immigrato illegale? Forse sì”. Secondo Bannon, Musk rappresenterebbe un pericolo per la sicurezza nazionale, soprattutto per il suo ruolo nella gestione di SpaceX, azienda che lavora a stretto contatto con il governo americano su programmi sensibili.
Un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato che tra il 2022 e il 2023 l’FBI e altre agenzie federali hanno indagato sulle visite di cittadini stranieri alle proprietà di Musk, in particolare provenienti dall’Europa dell’Est. L’obiettivo era capire se qualcuno stesse cercando di influenzare le sue decisioni. Nessuna accusa formale è stata emessa, ma le preoccupazioni restano, alimentate anche dai rapporti che Musk avrebbe intrattenuto con leader internazionali, incluso il presidente russo Vladimir Putin.
La situazione è diventata così tesa che persino il super PAC finanziato da Musk, con oltre 250 milioni di dollari investiti nella campagna elettorale di Trump, ha introdotto verifiche più severe per escludere ingerenze straniere.
Lo scontro Musk-Trump, seppur apparentemente rientrato, continua ad agitare i piani alti del potere. Sullo sfondo resta il quesito cruciale: fino a che punto un imprenditore con legami globali può influenzare la politica nazionale senza scatenare sospetti e fratture?
Al centro della tensione tra i due c’è però qualcosa di più di uno scambio di accuse: una netta e crescente differenza della visione del mondo.
Il pensiero politico di Trump si radica nel populismo nazionalista. La sua base “Make America Great Again” (MAGA) è formata da elettori conservatori, scettici nei confronti delle élite globali e ostili ai tecnocrati della Silicon Valley, spesso visti come simbolo di un potere elitario e irresponsabile che, con manovre oscure, guida il Paese. Trump per loro è il campione del protezionismo, della produzione nazionale, dei confini chiusi e di un’America tradizionalista, autoritaria e autosufficiente, ma soprattutto che detta l’agenda degli Stati Uniti e non un esecutore delle volontà dei poteri occulti.
Musk rappresenta invece una visione quasi diametralmente opposta. Tecno-libertario, anti-woke ma apertamente futurista, crede nella colonizzazione di Marte. La sua fede nel progresso tecnologico e nella globalizzazione lo rende un corpo estraneo nel pianeta MAGA che capisce e applaude quando sul palcoscenico dei conservatori brandisce la sega a motore per i tagli del DOGE, ma si smarrisce quando parla dello sviluppo accelerato dell’intelligenza artificiale e delle interfacce neurali. E lo odia quando definisce la “grande, bellissima legge” di Trump “un abominio”, perché per loro non è una critica al provvedimento economico, ma il rifiuto all’impostazione ideologica che lo sostiene.
A pesare è anche il fatto che Musk e Trump appartengono a reti di potere diverse e spesso in collisione. Trump guida un movimento populista con alleati come Steve Bannon e media di destra militanti. Musk invece fa parte di un’élite di imprenditori tecnologici, con legami nella Silicon Valley e connessioni globali, tra cui Peter Thiel e altri investitori del venture capitalism.
Il vero nodo irrisolto, tuttavia, è l’influenza. Musk non punta a una carica pubblica, ma esercita potere attraverso la sua piattaforma X, le sue aziende e la sua presenza mediatica. Questo tipo di influenza, incontrollata e trasversale, può rappresentare per Trump un pericolo, o almeno una concorrenza. Il presidente è prevedibile, ogni alleato è utile finché gli conviene e quando non gli fa più gioco è lasciato al suo destino.