Gli Stati Uniti stanno attraversando una delle settimane più tese degli ultimi anni. L’intervento armato ordinato dal presidente Donald Trump a Los Angeles per sedare le proteste contro i raid anti-immigrazione ha scatenato una crisi politica e istituzionale. La California, guidata dal governatore Gavin Newsom, ha portato il caso in tribunale, denunciando l’uso “incostituzionale” di 4.000 membri della Guardia Nazionale e 700 Marines schierati senza il consenso statale.
“Trump e i suoi fedelissimi prosperano grazie alla divisione,” ha dichiarato Newsom in un discorso alla nazione martedì sera. “Non è contrario all’illegalità finché gli serve. Di quante altre prove abbiamo bisogno, se non del 6 gennaio?”
Le proteste sono scoppiate dopo una serie di raid dell’ICE nei luoghi di lavoro, culminati in arresti di massa a Los Angeles e New York. In California, la sindaca Karen Bass ha denunciato il caos generato dal coinvolgimento federale: “Eravamo in grado di gestire la situazione. Washington ha rovinato tutto.” La sindaca ha imposto il coprifuoco nel centro cittadino, mentre la polizia locale ha confermato 378 arresti in quattro giorni.
A New York, migliaia di persone hanno dimostrato martedì da Foley Square verso la parte bassa di Manhattan. “Niente odio, niente paura, gli immigrati sono benvenuti”, recitavano gli slogan. Alcuni manifestanti avevano il volto coperto per evitare l’identificazione, altri sventolavano bandiere palestinesi. “ICE fuori da New York” campeggiava su molti cartelli. Ci sono stati tafferugli con la polizia e alcune persone sono state arrestate. Il sindaco Eric Adams ha garantito che la città “non ricorrerà all’esercito” e ha ribadito il ruolo centrale del NYPD. Dimostrazioni simili si sono svolte anche a Chicago e ad Atlanta.
Mentre il Paese è attraversato dalle proteste, Trump ha partecipato a una cerimonia a Fort Bragg, in Carolina del Nord, dove ha definito l’immigrazione irregolare una “invasione da parte di un nemico straniero”. Parole che molti osservatori interpretano come un segnale che il presidente intende invocare l’Insurrection Act, la legge del 1807 che autorizza l’impiego dell’esercito per sedare rivolte interne.
Il linguaggio di Trump si fa sempre più duro. Parla di “insurrezionalisti” per descrivere i manifestanti e ha minacciato di estendere la presenza dell’esercito in tutte le città che protesteranno contro le politiche migratorie. “Useremo una forza uguale o maggiore a quella impiegata a Los Angeles.”
Nel frattempo, la procuratrice federale del New Jersey, Alina Habba, l’ex avvocata di Trump, ha annunciato l’incriminazione della deputata democratica LaMonica McIver, accusata di aver interferito con un’operazione dell’ICE durante una protesta a Newark. Tre i capi d’imputazione. “La libertà di espressione non può compromettere la sicurezza pubblica,” ha scritto Habba su X.
McIver ha denunciato il procedimento come “un tentativo di intimidazione politica” e ha dichiarato che si dichiarerà non colpevole. “Vogliono zittirmi, ma continuerò a difendere i diritti dei migranti.”
A rendere il clima ancora più teso, un’inchiesta del Washington Post ha rivelato i piani dell’Amministrazione per trasferire a Guantanamo Bay centinaia di immigrati irregolari, tra cui cittadini italiani, francesi, tedeschi e britannici. Una misura draconiana che, secondo fonti interne, sarebbe già operativa.
Un tribunale federale ha temporaneamente limitato l’uso delle truppe federali alla protezione degli edifici governativi, in attesa dell’udienza di giovedì. Il giudice Charles Breyer ha respinto per ora la richiesta californiana di un blocco totale, ma ha chiesto al governo federale di presentare una risposta entro mercoledì alle 14:00 ora locale.
Tra i pochi a sollevare dubbi nel campo repubblicano, la senatrice del Maine Susan Collins, presidente della commissione stanziamenti al Senato, ha definito “eccessivo” l’uso dei Marines, pur approvando l’impiego della Guardia Nazionale.
Colpisce, invece, il silenzio assoluto della leadership democratica al Congresso. Mentre le città protestano e i governatori democratici cercano di opporsi in tribunale, figure chiave come Chuck Schumer e Hakeem Jeffries evitano confronti diretti con la Casa Bianca, lasciando la prima linea a leader locali come Newsom e Adams. Un’assenza che, per molti osservatori, rischia di apparire come una rinuncia politica in un momento cruciale per la democrazia americana.
In un’America sempre più polarizzata, la gestione delle proteste anti-immigrazione sta diventando un banco di prova per il secondo mandato di Trump. La crisi non è più solo politica o locale, ma costituzionale. E, giorno dopo giorno, assume i contorni di uno scontro sul destino stesso della repubblica americana.