L’accordo è fatto, annuncia Trump. Ma i dazi restano. Dopo due giorni di trattative a porte chiuse a Lancaster House, Stati Uniti e Cina hanno siglato un’intesa preliminare per riprendere la tregua commerciale concordata a maggio a Ginevra e subito deragliata.
“L’accordo con la Cina è fatto”, ha scritto mercoledì il presidente americano su Truth Social. “STIAMO OTTENENDO UN TOTALE DEL 55% DI DAZI DOGANALI, LA CINA NE STA OTTENENDO IL 10%. IL RAPPORTO È ECCELLENTE!”. Nessun dettaglio tecnico, ma pare che la Cina fornirà “magneti e terre rare” agli Stati Uniti, mentre Washington manterrà aperte le porte ai suoi studenti universitari. Il resto – tariffe comprese – rimane intatto.
Secondo fonti dell’amministrazione, il pacchetto prevede: dazio base del 10%, ulteriore 20% per il traffico di fentanyl e un 25% che incorpora i precedenti aumenti. Totale: 55% di barriere sulle merci cinesi. La Cina, invece, applicherà una tariffa piatta del 10%.
Il nodo, come a Ginevra, restano le esportazioni strategiche. Gli Stati Uniti chiedevano la rimozione immediata delle restrizioni cinesi su terre rare e magneti, indispensabili per l’industria elettronica, la difesa e la diagnostica medica. Pechino ha accettato di riprendere le spedizioni, ma in termini ancora non del tutto chiariti. E Washington, da parte sua, promette di rimuovere “in modo bilanciato” i blocchi su software, componenti per jet e prodotti high-tech imposti ad aprile.
Il segretario al Commercio Howard Lutnick ha definito l’accordo “un passo avanti concreto”, spiegando che il nuovo quadro dà attuazione “vera” all’intesa di Ginevra. Insieme a lui, il segretario al Tesoro Scott Bessent e il rappresentante al Commercio Jamieson Greer riferiranno oggi a Trump i dettagli dell’intesa. L’ok finale spetterà a lui e al presidente cinese Xi Jinping, con cui l’inquilino della Casa Bianca ha parlato la scorsa settimana per novanta minuti, nel primo contatto diretto dalla rielezione.
Il problema, però, è che l’intesa arriva quando i danni sono già stati fatti. Dal 2 aprile – giorno ribattezzato da Trump “Liberation Day” – gli scambi tra le due potenze si sono quasi azzerati: le tariffe avevano raggiunto punte del 145%, rendendo di fatto impossibile importare dalla Cina. Aziende come Apple hanno annunciato costi aggiuntivi da 900 milioni di dollari a trimestre; Boeing, dal 2019, non vende più un aereo al mercato cinese. Le big dell’e-commerce – Shein e Temu su tutte – sono state colpite dalla chiusura della soglia “de minimis”, che esentava i pacchi sotto gli 800 dollari da dazi doganali.
La riapertura dei canali commerciali, pur parziale, è vista come un sollievo. Ma sul fronte cinese, la reazione è stata prudente. L’agenzia Xinhua ha parlato di “accordo in linea di principio”, segno che i dettagli non sono chiusi. I colloqui, proseguiti fino a tarda notte, sono stati definiti “franchi e professionali” – formula diplomatica per indicare forti divergenze.
Intanto, a Washington, Trump incassa una vittoria giudiziaria: una corte federale ha sospeso la decisione che dichiarava illegittimi alcuni dei suoi dazi, consentendogli di mantenerli in vigore almeno fino al processo d’appello. Anche se l’argomento non è stato toccato nei negoziati di Londra, rafforza la posizione della Casa Bianca nella fase attuale.
Resta ora da capire se la tregua reggerà oltre l’estate. L’accordo di Ginevra prevedeva una sospensione di 90 giorni dei dazi più gravosi, in scadenza ad agosto. Nessun nuovo vertice è stato fissato. “Entrambe le parti sono motivate a proseguire”, ha assicurato Greer. Ma sarà Trump, ancora una volta, ad avere l’ultima parola.