“La sinistra è stata sconfitta, la cittadinanza non si regala” tuona il vicepremier italiano e leader della Lega Matteo Salvini, molto soddisfatto per l’esito negativo dei 5 referendum su cui l’Italia ha votano domenica 8 e lunedì 9 giugno. Si trattava di referendum “abrogativi”, un istituto tipico dell’Italia che consente di cancellare leggi o parti di leggi, ma solo se va a votare il cosiddetto quorum: cioè almeno 50% + 1 degli elettori. Invece l’affluenza alle urne è rimasta sotto il 30%, per i quattro quesiti promossi dal sindacato CGIL sulle norme del lavoro, e per il quindi promosso dal partito Più Europa, che chiedeva di dimezzare gli anni di residenza necessari alla richiesta della cittadinanza: da 10 a 5 anni.
Proprio la speranza di affossare i referendum facendo fallire il quorum ha spinto la quasi totalità degli appartenenti ai partiti di governo a disertare le urne. Sospinta dalle critiche dell’opposizione (i principali partiti di sinistra e centro sinistra avevano dato indicazione per cinque sì), Giorgia Meloni ha deciso nella sua qualità di capo del governo di andare al seggio… ma senza ritirare le schede. Gesto poco significativo: forse ha fatto piacere agli scrutatori cui ha stretto la mano, ma dal punto di vista pratico il suo non è un voto negativo, è un non-voto e non viene computato ai fini dell’affluenza.
Maurizio Landini, il segretario della CGIL, ha detto che non si trattava di un voto contro il governo. “Il nostro obiettivo era raggiungere il quorum per cambiare le leggi e non lo abbiamo raggiunto. Non è una vittoria. È un punto di partenza, i problemi posti con questo referendum rimangono”: precarietà del lavoro, mancati indennizzi o reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, responsabilità per gli infortuni sul lavoro. “Sono state settimane e mesi che mi hanno insegnato che un sindacato deve imparare ad ascoltare le persone, c’è bisogno di continuare questa lotta utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, sia a livello contrattuale che di mobilitazione”.
I quattro referendum sul lavoro comunque hanno ottenuto fra i votanti oltre l’80% di sì. Invece il quinto referendum sulla cittadinanza si è fermato poco oltre il 60% di approvazione: è possibile che invece di ignorarlo, una fetta di elettorato di destra, allarmata, sia andata a votare contro il dimezzamento degli anni necessari per richiedere la cittadinanza, ritirando solo quella scheda.
Per il comitato promotore guidato da Riccardo Magi di +Europa, non si può dire però che il referendum abrogativo (che avrebbe richiamato in vigore la legge precedente a quella attuale) fosse uno strumento inadeguato perch* questa è una riforma da fare in parlamento. SI è tentato molte volte, ha ricordato: “Guardate che la proposta ius scholae e ius Italia (che avrebbe, ndr, dato la cittadinanza ai minori dopo un ciclo completo a scuola invece che ai 18 anni) è diventato ius niente, perché nessuno l’ha vista in Parlamento questa proposta. Voi (giornalisti) dovreste andare a cercare nell’archivio le posizioni che Giorgia Meloni ha avuto in questi anni sulla cittadinanza. Quando si parlava di ius soli lei era per lo ius scholae, quando si è cominciato a parlare dello ius scholae, lei era per lo ius niente. Capite come avviene il dibattito in questo Paese?”.
Sonny Olumati, copresidente del comitato promotore, 39enne ballerino nato in Italia da genitori nigerani, ha aggiunto, “Non bisogna avere le facce da funerali, non bisogna pensare che sia finito qualcosa, perché ogni cambiamento ha bisogno di tempo e inizia sempre con un bagno di verità, questo è stato il nostro bagno di verità. E io sono contento, perché ogni volta che bisogna costruire qualcosa si parte sempre dalle fondamenta, questo è il nostro primo mattone”.