A distanza di due mesi da una deportazione definita “un errore amministrativo” persino dai suoi stessi esecutori, Kilmar Abrego García, cittadino salvadoregno, è tornato negli Stati Uniti. Non da uomo libero, però: ad attenderlo c’è un’accusa federale di traffico di esseri umani, formalizzata da un gran giurì del Tennessee.
Ad annunciarlo è stata l’Attorney General Pam Bondi nel corso di una conferenza stampa. “Abrego García è ora in custodia cautelare e sul suolo americano. Ha facilitato l’ingresso illegale nel Paese di centinaia di migranti, tra cui donne, bambini e presunti membri della gang MS-13”.
AG Bondi: “Abrego Garcia has landed in the United States to face justice. He will face very serious charges. Upon completion of his sentence, we anticipate he will be returned to his home country of El Salvador.” pic.twitter.com/PFCwfiaZHt
— TheBlaze (@theblaze) June 6, 2025
Le accuse, pesantissime, arrivano dopo che la Corte Suprema aveva chiesto di facilitare il suo rientro negli Stati Uniti, riconoscendo che era stato espulso in violazione di un ordine del 2019 che vietava la sua deportazione in El Salvador, dove l’uomo rischiava persecuzioni. Abrego García era stato infatti trasferito nel penitenziario di massima sicurezza Cecot, tra i più noti per la detenzione di membri delle gang salvadoregne.
La vicenda ha origine nel marzo 2022, quando Abrego García fu fermato durante un controllo stradale in Tennessee. Nessuna multa, solo un avvertimento per la patente scaduta. Ma i nove passeggeri a bordo del suo furgone, sospettati di essere migranti irregolari, attirarono l’attenzione delle autorità federali. Da lì partì un’indagine che ha portato alle attuali accuse.
Secondo i documenti depositati in tribunale, Abrego García avrebbe fatto parte per anni di un’organizzazione che trasportava migranti dal Texas verso altri Stati. Il testimone chiave dell’accusa sarebbe l’intestatario del furgone, ora detenuto in Alabama per reati simili, che ha ottenuto l’immunità in cambio della sua testimonianza.
L’amministrazione Trump aveva osteggiato il suo rientro negli Stati Uniti, nonostante le sentenze contrarie emesse prima da un giudice federale e poi confermate dalla Corte Suprema ad aprile. “Non tornerà nel nostro Paese”, aveva dichiarato Bondi il 16 aprile, citando l’allora collaborazione con il presidente salvadoregno Nayib Bukele. Ma la posizione è cambiata quando si è profilata la possibilità di processare l’uomo sul territorio americano.
La Casa Bianca ha celebrato il ritorno come un successo giudiziario. “È tempo che affronti le sue responsabilità”, ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt. Stephen Miller, ex consigliere di Trump e figura chiave nelle politiche migratorie più dure, ha rincarato: “La sua deportazione era corretta, l’incriminazione lo conferma”.
Di tutt’altro avviso la difesa legale del salvadoregno, che denuncia un uso politico del caso. “Il governo ha avuto sempre il potere di riportarlo indietro, ma ha scelto di giocare con i tribunali e con la vita di un uomo”, si legge in una nota diffusa ai media. “La Costituzione non è opzionale. Questo potrebbe accadere a chiunque”.
La moglie di Abrego García, residente con i figli in Maryland, ha sempre respinto le accuse di legami con la MS-13, definite “strumentali” dai legali. Il processo che lo attende in Tennessee sarà ora il banco di prova non solo per il destino dell’imputato, ma anche per i limiti dell’esecutivo nel rispetto dei diritti individuali durante le procedure migratorie.