Lo scontro frontale tra Donald Trump ed Elon Musk ha fatto da detonatore a una crisi politica che travolge il destino del DOGE, l’ufficio per l’efficienza della spesa federale nato con ambizioni titaniche, oggi orfano di Musk, in piena crisi d’identità.
A rompere il silenzio è stato uno dei suoi più convinti sostenitori, il deputato repubblicano dello Utah Blake Moore, che non ha usato giri di parole: “Quasi tutti sapevano che Elon stava esagerando su ciò che poteva fare. Diceva che avrebbe trovato 4 miliardi di dollari al giorno in tagli. Una volta, addirittura 2.000 miliardi. È un’esagerazione enorme. E credo che la gente se ne stia rendendo conto ora”.

Una dichiarazione che segna una frattura netta tra il Congresso e il visionario della Silicon Valley, il cui progetto di snellire la macchina federale e stanare miliardi “rubati” rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang. Moore, uno dei tre co-leader del caucus DOGE, aveva promesso insieme al gruppo bipartisan un rapporto dettagliato sulle possibili aree di risparmio entro marzo. Quel documento non è mai arrivato.
Il motivo? Lo scarso coinvolgimento dell’ufficio DOGE con il Congresso.
“C’erano molti parlamentari pronti a sostenerlo”, ha detto Moore. “Ma non c’è stata alcuna interazione concreta”.
Per giustificare l’azione del DOGE, Musk aveva fatto proprie una serie di narrazioni sensazionalistiche poi rivelatesi infondate. Come quella — divenuta virale su X — secondo cui migliaia di ultracentenari “fantasma” riceverebbero ancora assegni della Social Security, in alcuni casi “da 80 anni”. Uno scandalo inesistente: i dati della Social Security Administration hanno smentito la cifra e l’Ispettorato Generale ha chiarito che casi isolati di frode vengono rilevati e sanati regolarmente.
Altro esempio: la storia dei preservativi spediti “a 7 dollari l’uno” in Togo, citata da Musk come emblema dello spreco dell’aiuto estero americano di USAID. Anche in questo caso, analisi indipendenti hanno dimostrato che il costo reale del programma era una frazione e comprendeva logistica, formazione, stoccaggio e distribuzione sanitaria su larga scala.
Due episodi emblematici del metodo Musk: semplificare, distorcere, indignare. Ma senza offrire soluzioni credibili.
Nato sulle note del populismo come vessillo della lotta agli sprechi, il DOGE oggi rischia di diventare l’ennesima riforma abortita: la montagna ha partorito il topolino. Il solo pacchetto di tagli attualmente in discussione — 9,4 miliardi di dollari — tocca aree marginali come i fondi al servizio pubblico radiotelevisivo (PBS e PBR) o gli aiuti esteri (USAID). Ben lontano dai “2.000 miliardi” che Musk aveva paventato in conferenze stampa e thread su X.
E mentre il DOGE annaspa, la faida tra Musk e Trump è esplosa. Il punto di rottura è stato la “Big, Beautiful Bill”, la maxi-legge economica voluta dal presidente e che il CEO di Tesla ha bollato come un pericoloso acceleratore del deficit. Con la legge di bilancio proposta le previsioni indipendenti stimano aumenti del debito federale per migliaia di miliardi.
Trump, come da copione, ha risposto attaccando Musk. Ne è nata una battaglia social dai toni grotteschi e anche comici, culminata in accuse incrociate e invettive che hanno sgretolato ogni residuo di collaborazione.
Il progetto DOGE era viziato da un peccato originale: pensare che un gruppo di ingegneri e startupper potesse risanare il bilancio federale senza conoscere a fondo la macchina pubblica. I numeri non mentono. Secondo lo Yale Budget Lab, la spesa federale nel primo semestre del 2025 è aumentata rispetto agli anni precedenti. Il denaro esce più velocemente dalle casse dello Stato, nonostante i tagli al personale e gli algoritmi anti-spreco.
Alex Nowrasteh, economista del Cato Institute, è spietato: “Era un obiettivo impossibile. Un team DOGE più preparato non avrebbe fatto promesse così folli. Forti del populismo dell’amministrazione, hanno avviato una caccia al tesoro per trovare frodi e sprechi, ma ignorando i meccanismi reali di controllo della spesa. E, ovviamente hanno fallito”.
Moore non si arrende. Ora punta su strumenti più pragmatici: rescissioni mirate, compromessi bipartisan e un approccio realistico.
“Ci sono molti democratici che riconoscono l’esistenza di spese ridondanti nel nostro governo”, ha sottolineato.
Il primo voto su un pacchetto di tagli è atteso alla Camera la prossima settimana. Ma intanto, la visione di Elon Musk — razionalizzare, digitalizzare, ottimizzare — è già naufragata. Un copione familiare per l’uomo più ricco del mondo: promesse grandiose, esecuzione caotica, risultati modesti.
E questa volta, a pagare il prezzo dell’utopia è l’intero apparato federale perché i tagli allo spreco e alle frodi, promessi da Musk, avrebbero aiutato a ridurre il deficit. Senza averli trovati il deficit aumenta.