Si compatta il fronte accademico contro la stretta politica giudicata pericolosa e invasiva. Yale si è ufficialmente unita a una coalizione di altre 18 università che sostengono la causa intentata da Harvard contro l’amministrazione Trump, accusata di aver sospeso in modo illegittimo i finanziamenti alla ricerca. Le istituzioni, tra cui quasi tutte le consorelle della Ivy League (escluse Columbia e Cornell), hanno chiesto di poter presentare una memoria “amicus curiae” presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti in Massachusetts, a sostegno dello storico ateneo.
In base alla mozione presentata, l’interruzione dei fondi federali non danneggerebbe solo Harvard, ma comprometterebbe l’intero ecosistema della sperimentazione americana, minando un equilibrio costruito in decenni di collaborazione tra campus e governo. Viene infatti sottolineato come le risorse federali abbiano avuto un ruolo centrale nell’innovazione scientifica, nella sicurezza nazionale e nello sviluppo di terapie salvavita. Esempi citati riguardano proprio Yale, che grazie a questi fondi è riuscita a realizzare progressi decisivi come la prima somministrazione di chemioterapia e la creazione della pompa per insulina.
Nel documento, si illustra che i tagli non solo metterebbero fine a progetti cruciali, ma interromperebbero esperimenti in corso, comprometterebbero set di dati e andrebbero a ostacolare la carriera di giovani scienziati oltre a ridurre gli investimenti a lungo termine in tutto il Paese. A rappresentare legalmente il fronte accademico figura l’ex procuratore generale degli Stati Uniti, Donald Verrilli Jr., laureato a Yale nel 1979.
La giudice Allison D. Burroughs ha accolto la richiesta dei ricorrenti autorizzandoli a intervenire nel processo, tuttavia al momento della decisione, la memoria prevista non era ancora stata formalmente depositata. La causa di Harvard, avviata il 21 aprile, accusa l’amministrazione repubblicana di aver agito in modo assolutamente illegale nel congelare i finanziamenti, avanzando richieste radicali di modifica nella governance e nelle politiche interne al campus. Il presidente dell’istituzione, Alan Garber, ha definito tali pretese un’ingerenza senza precedenti che comprometterebbe l’autonomia accademica.
Non si tratta dell’unico contenzioso: Harvard ha infatti intrapreso una seconda azione legale il 23 maggio, dopo che il Dipartimento per la sicurezza interna ha minacciato di revocare la certificazione necessaria per accogliere studenti internazionali. Una misura poi sospesa temporaneamente dl tribunale fino al 20 giugno.
La giustificazione della ladership trumpiana per queste azioni si basa sull’accusa rivolta all’università più antica d’America di aver tollerato episodi di antisemitismo durante le proteste pro-palestinesi.