Non si salva nessuno, neanche i giudici della Corte Suprema da lui nominati!
La visione del potere di Donald Trump si fonda su una logica implacabile: la fedeltà personale come unica forma di legittimità. Chi lo sostiene è premiato. Chi lo contraddice, anche solo con un dubbio, è immediatamente bollato come nemico. E se l’oppositore è stato chiamato da lui stesso a servire nella sua Amministrazione, il giudizio è ancora più feroce: è un traditore.
Dalla Casa Bianca alla sua seconda candidatura presidenziale, passando per il movimento MAGA e l’influenza sull’intero Partito Repubblicano, Trump ha sostituito l’idea di istituzioni autonome e bilanciate con una concezione personalistica e verticale del potere. Una mentalità che lo ha portato a considerare non solo la stampa o l’opposizione politica, ma anche magistrati, generali, ministri, persino giudici della Corte Suprema come ostacoli o traditori, se non allineati ai suoi obiettivi. Il 47esimo presidente non accetta il pluralismo delle istituzioni e lo interpreta come un ostacolo da superare o neutralizzare. Ha una visione dello Stato come Luigi XIV, “L’etat c’est moi”, non distinguendo tra il Paese e la persona, come in una monarchia assoluta travestita da movimento populista.
La lista di coloro che Trump ha definito “sleali” è lunga e trasversale. Jeff Sessions, suo primo Attorney General, colpevole di essersi ricusato dall’indagine sul Russiagate, venne liquidato come “una delusione totale”. Mark Esper, ex segretario alla Difesa, criticato per non aver voluto usare l’esercito contro i manifestanti di Black Lives Matter, fu licenziato via Twitter. John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale, divenne un “pazzo guerrafondaio” dopo aver pubblicato un libro critico. William Barr, ex ministro della Giustizia, dichiarò che non c’erano prove di frodi sistemiche nelle elezioni del 2020: da allora, è diventato “un codardo”.
Ma il salto di qualità, quello che segna un attacco diretto all’equilibrio costituzionale, è arrivato ora con le critiche alla Corte Suprema, il massimo organo giudiziario degli Stati Uniti.

Dopo il 6 gennaio 2021, e ancor più durante la campagna elettorale per il 2024, Trump aveva rivolto insulti e accuse anche ai giudici della Corte Suprema, sostenendo che non avessero avuto “il coraggio” di annullare i risultati elettorali che non lo favorivano. Uno di questi attacchi più sorprendenti è stato ora rivolto ad Amy Coney Barrett, la giudice da lui stesso nominata nel 2020, dopo la morte di Ruth Bader Ginsburg.
Considerata un simbolo della svolta conservatrice della Corte, Barrett è oggi oggetto del disprezzo trumpiano per non aver sostenuto le istanze della campagna MAGA nella controversia post-elettorale. Cattolica, antiabortista, pupilla della Federalist Society, vista come la garanzia definitiva di una Corte “MAGA-compatible“. La sua conferma, rapidissima, grazie a Mitch McConnell, avvenne a ridosso delle elezioni presidenziali: una prova di forza repubblicana e di fedeltà all’agenda trumpiana.
Eppure, nel giro di pochi mesi, Barrett è passata da simbolo della vittoria ideologica a emblema del tradimento, almeno agli occhi del capo della Casa Bianca.
Per Trump, la sua colpa è stata quella di non essere intervenuta a suo favore nelle cause post-elettorali del 2020, quando cercava di ribaltare i risultati delle elezioni attraverso ricorsi giudiziari ritenuti infondati perfino da altri conservatori.
“Amy Barrett? Una delusione totale – affermò in un rally in Pennsylvania nel 2022 –. Non ha avuto il coraggio. Che razza di giudice è?” Una frase che racchiude il pensiero profondo del trumpismo: il giudice non è chiamato ad applicare la legge, ma a servire chi lo ha nominato. Il concetto stesso di indipendenza giudiziaria è rigettato. Non importa la dottrina giuridica, la coerenza costituzionale o il rispetto dei limiti della funzione giudiziaria: conta solo la lealtà politica.
Trump ha attaccato Barrett anche per alcune decisioni considerate “fredde” o “neutrali” su temi caldi del mondo conservatore: il diritto alle armi, le vaccinazioni obbligatorie, le questioni legate al diritto elettorale.
Per molti osservatori, Barrett è rimasta coerente con il suo approccio giuridico, cauto e textualista nel rispotto dell’interpretazione della Costituzione. Ma per l’ex presidente, non essergli utile equivale a tradirlo. E il tradimento, per Trump, è peggio dell’opposizione dichiarata.

Anche Brett Kavanaugh, altro giudice da lui nominato, è finito nel mirino. Trump ha insinuato che i suoi giudici sono diventati “debolezze”, “persone che si piegano alla pressione liberal”, come se la Corte fosse una caserma che ha disertato.
Se la giudice Barrett — esempio perfetto della destra legale americana — è oggi trattata come una traditrice, vuol dire che nel sistema trumpiano nessuno è al sicuro. Non esiste merito, coerenza o fede condivisa. Solo una cosa conta: l’obbedienza.