È iniziata al Senato una settimana politicamente esplosiva per il futuro della legge di bilancio soprannominata “One Big Beautiful Bill”, cuore programmatico dell’agenda di Donald Trump.
Approvata in prima battuta dal Senato e poi modificata dalla Camera con un solo voto di scarto, la legge torna ora alla Camera Alta per essere armonizzata attraverso il delicato processo della riconciliazione di bilancio, una procedura parlamentare straordinaria che consente l’approvazione con una maggioranza semplice, evitando così il filibuster democratico.
Ma se sul piano numerico la riconciliazione promette di essere un vantaggio per la maggioranza repubblicana, sul piano procedurale e politico le insidie sono numerose. A partire dalla Regola Byrd, norma apparentemente tecnica ma in realtà potentissima, che impone che ogni disposizione contenuta nella legge sia direttamente collegata alla spesa o alle entrate federali. Qualsiasi elemento “estraneo” può essere espunto dalla parliamentarian del Senato, Elizabeth MacDonough, il cui giudizio tecnico non è vincolante ma politicamente difficilissimo da ignorare e che già si è messa al lavoro.
Proprio sotto questa lente rischia di cadere una delle parti più controverse del pacchetto: la revisione del REINS Act, una norma pensata per rafforzare il potere del Congresso sui regolamenti federali, che nella nuova versione verrebbe invece profondamente snaturata. La proposta inclusa nel “Big Beautiful Bill” toglierebbe al Congresso la possibilità di bloccare i regolamenti federali con impatto economico significativo, dando all’esecutivo la totale discrezionalità su molte decisioni amministrative e fiscali. Se la MacDonough dovesse giudicare questo elemento non pertinente al bilancio, potrebbe essere escluso dal testo finale.
Ma non è solo la procedura a rendere incandescente l’atmosfera. Il contenuto stesso della legge divide profondamente lo stesso Partito Repubblicano. Diversi senatori hanno già espresso riserve o contrarietà aperte a due dei pilastri del piano: l’aumento del tetto di spesa e i tagli al programma sanitario Medicaid. Il senatore libertario Rand Paul si è detto contrario a qualsiasi aumento della spesa pubblica, mentre la moderata Susan Collins ha dichiarato la sua opposizione ai tagli ai servizi sanitari. Sulla stessa linea la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski. Il senatore Josh Hawley, a sua volta, ha riferito che durante una telefonata con Trump, lo stesso presidente avrebbe ammesso che “chi taglia Medicaid perde le elezioni”.
Ma le critiche arrivano anche dalla destra più fiscale. Ron Johnson e Mike Lee hanno dichiarato che la proposta non fa abbastanza per ridurre la spesa pubblica e sono contrari all’alzamento del tetto di spesa, mentre Rick Scott ha chiesto tagli ancora più drastici. Thom Tillis, dal North Carolina, ha invece criticato la rimozione dei crediti d’imposta per l’energia pulita, sostenendo che molti di quei sussidi hanno un impatto positivo sulla crescita economica. La coalizione repubblicana, insomma, è spaccata in almeno tre correnti: i falchi fiscali, i populisti attenti al consenso popolare e i moderati istituzionali.
Sul fronte operativo, il lavoro delle commissioni è già cominciato. Oggi si è riunita la Commissione Forze Armate per esaminare la versione della Camera. Mercoledì sarà la volta di quella su Lavori Pubblici e Ambiente, giovedì toccherà al Commercio, e venerdì infine la Commissione Finanze affronterà il nodo più delicato: i tagli a Medicaid.
Un’incognita cruciale riguarda inoltre i dati promessi dal Department of Government Efficiency, il cosiddetto DOGE, l’agenzia creata per identificare sprechi e razionalizzare la spesa federale. Il suo lavoro, affidato a Elon Musk in un’operazione tanto politica quanto simbolica, doveva servire da base per numerose delle allocazioni previste nella legge. Tuttavia, a oggi il DOGE non ha ancora pubblicato alcun rapporto ufficiale, rendendo difficile quantificare l’impatto dei risparmi su cui si fonda parte del bilancio.
Intanto, il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha avvertito che è necessario approvare un aumento del tetto del debito entro metà luglio, per evitare turbolenze nei mercati finanziari. Wall Street, infatti, guarda con crescente preoccupazione alla situazione: le oscillazioni dell’indice S&P 500 negli ultimi giorni riflettono l’incertezza su una manovra che potrebbe avere ricadute significative sul deficit federale.
Il leader della maggioranza al Senato, John Thune, ha ribadito che l’obiettivo è arrivare al voto prima del 4 luglio, ma ha anche ammesso che “ci sono ancora molti problemi irrisolti”. In un colloquio alla Casa Bianca, ha avvisato Trump che la tenuta della maggioranza è fragile e che forzare la mano potrebbe ritorcersi contro. Lo Speaker della Camera Mike Johnson, pur essendo riuscito a far passare il testo con un solo voto, ha invitato alla prudenza, consapevole che anche un piccolo cedimento al Senato potrebbe far naufragare l’intero disegno di legge.
La prossima settimana sarà decisiva. Se i Repubblicani riusciranno a trovare un compromesso interno, potranno portare a casa un successo legislativo significativo. Ma se le tensioni non saranno risolte, il “Big Beautiful Bill” rischia di trasformarsi in una sconfitta politica per l’intera maggioranza.