I droni ucraini volano bassi sui cieli russi, e colpiscono al cuore la flotta dei bombardieri strategici di Mosca. Secondo gli ucraini l’attacco di domenica, condotto con 117 droni , infiltrati magistralmente in territorio russo a bordo di camion opportunamente camuffati e poi lanciati all’attacco a pochi chilometri dall’obiettivo, ha interessato cinque basi aeree e distrutto 41 bombardieri strategici russi. Altre fonti fanno un bilancio meno drammatico. Secondo una prima analisi di immagini satellitari, vari operatori parlano di una decina di aerei distrutti e altrettanti danneggiati (e con le condizioni logistiche russe, un bombardiere danneggiato è un bombardiere distrutto).
Il ministero della Difesa russo ha confermato gli attacchi ai 5 aeroporti e ammesso perdite, senza quantificarle, mentre siti militari russi come Rybar e altri, viste le immagini satellitari, fanno un bilancio di almeno 13 aerei russi distrutti: 4 bombardieri strategici TU95MS e 4 bombardieri strategici TU22M nella base di Belaya, in Siberia e 4 bombardieri strategici TU95MS e un Antonov 12, nella base di Olenya, vicino Murmansk, nell’artico. Totale, tredici aerei distrutti, di cui 12 bombardieri strategici. Stiamo bassi e rendiamo per buono questo dato di fonte russa. Ora, considerando che la Russia aveva in servizio (fonte, Military Balance 2024 dell’International Institute for strategic studies) 54 TU22M, 47 TU95MS e 16 TU160 (numero teorico, si badi bene, perché in realtà il numero di velivoli operativi era ertamente minore, e molti servivano solo per fornire pezzi di ricambio) questo significherebbe che gli ucraini, in una sola ondata di attacchi, hanno distrutto l’11% della flotta di bombardieri strategici russi. Se gi aerei distrutti fossero 20, come è provabile che sia considerando gli aerei danneggiati e non riparabili, la percentuale salirebbe al 18%. In realtà la cifra totale è presumibilmente più alta, considerando i bombardieri strategici realmente operativi. Non è una enormità come sarebbero 41 aerei obliterati su 113-,ma comunque sono cifre pesantissime.
L’operazione ucraina è estremamente significativa come l’affondamento del Moskva o l’attacco al ponte di Kerch, non perché sia una significativa svolta nella guerra, anche se limiterà la capacità di colpire le città ucraine con missili lanciati dai bombardieri strategici, ma perché impatta sul morale ucraino e mette in crisi sulla narrativa russa, che con azioni come i bombardamenti massicci sulle città ucraine e la pesante campagna di disinformazione condotta sui social e su non pochi fogli occidentali filorussi, tende a proclamare la propria vittoria e la futilità della resistenza ucraina per spingere le opinioni pubbliche occidentali a chiedere ai propri governo di interrompere il sostegno ad una guerra ormai persa.
Quella di domenica è stata una operazione a livello strategico condotta senza assetti strategici ma usando i droni come vettore in una operazione pianificata e condotta dal GUR, il servizio segreto militare ucraino, che ha potuto contare (non a caso il nome dell’operazione è “ragnatela” …) su un network in Russia, composto vuoi da russi di etnia ucraina o di altre minoranze (potenzialmente milioni di persone) vuoi russi anti putiniani- Un network che è stato in questi anni una fondamentale fonte di supporto informativo e, sempre più, anche operativo. Una quinta colonna nel regime putiniano.
L’attacco ai bombardieri strategici russi spazza via la narrativa di chi diceva che la guerra è già vinta dalla Russia, che ora occorre trattare la resa ucraina e ipocritamente chiamarla pace. Gli amici di Mosca si erano confezionati una realtà a loro uso e consumo. Una realtà falsa come una banconota da tre dollari.
Innanzitutto perché dopo oltre tre anni e tre mesi di conflitto le truppe di Putin controllano (dati dell’International Institute of War) “solo” il 20% del territorio ucraino, molto meno di quanto non ne avevano due mesi dopo l’offensiva nel 2022, e al tasso di avanzamento attuale _ molto rallentato _ impiegherebbero 83 anni a conquistare il restante 80%, ammesso e non concesso che avessero le risorse militari ed economiche che servirebbero e milioni di uomini da sacrificare. E poi perché gli ucraini hanno dimostrato una straordinaria resilienza, con tenacia, coraggio e capacità di manovra sul campo e sempre più creatività e abilità nell’ operare in profondità, oltre che e di pianificare a lungo termine operazioni che sembrano ispirarsi alle tecniche del Mossad israeliano, condotte usando droni aerei e marittimi, sabotaggi, camion bomba per colpire la Russia dove non se lo aspetta.
Mancandogli le masse umane da scarificare senza remore morali come fa l’esercito di Mosca, e sia pur essendogli mancata per anni la sufficiente potenza di fuoco (pezzi d’artiglieria e munizioni, soprattutto), gli ucraini si ingegnano e cercano di far sentire ai russi il peso della guerra, portandola nel loro stesso: la sacra madre Russia. E’ quindi una operazione militare ma anche strategica e mediatica, che mina il mito dell’invincibilità russa, che quindi mette in dubbio anche la leadership dello stesso Putin.
Sulla base della sua dottrina atomica, la Russia _dopo un attacco che la degradato la sua forza strategica nucleare _ potrebbe rispondere con uno strike nucleare, magari su target “soft” come l’Isola dei serpenti. Ma non lo farà, e con ogni probabilità si “limiterà” a nuovi e devastanti attacchi missilistici contro l’Ucraina. Usando i suoi missili più potenti e probabilmente colpendo ancora le città ucraine e forse lo stesso palazzo presidenziale di Zelensky. Putin è infatti stretto nel dilemma tra non esagerare per non perdere la postura favorevole di Donald Trump (che già si è lamentato degli attacchi contro la popolazione ucraina) e spingerlo così nelle braccia degli ucraini e, di contro, non essere troppo cauto nella rappresaglia e trasmettere debolezza alla sua opinione pubblica e agli ucraini. Una cosa è certa, gli attacchi seppelliscono sotto altra terra quello che era già sepolto: quella la trattativa di pace tra Russia e Ucraina tenacemente voluta da Donald Trump, ma destinata in partenza, almeno in questa fase, ad un esito predestinato: il fallimento.
Gli attacchi dei droni ucraini, avvenuti alla vigilia del secondo incontro ad Istanbul tra le delegazioni dei due paesi, e le precedenti pesanti ondate di bombardamenti russi sulle città ucraine hanno cementato l’incomunicabilità tra le due parti e il nuovo faccia a faccia ad Istanbul, non a caso, è stato più breve del primo, solo un’ora e un quarto, e si è limitato a certificare l’incomunicabilità assoluta sulle questioni vere. La Russia non ha accettato un cessate il fuoco permanente e un incontro tra i leader e ha presentato le proprie richieste di pace che sono in realtà richieste di totale capitolazione ucraina. Un memorandum fatto apposta per farsi dire di no. I soli passi in avanti sono stati fatti sui prigionieri di guerra, con le parti che hanno concordato di scambiare tutti i prigioniera feriti gravi e quelli di età inferiore ai 25 anni, oltre a restituire i corpi dei soldati nemico morti, al ritmo di 6 mila per 6 mila. La pace resta lontanissima.
Nessuna sorpresa, perché il punto è che anche prima dell’attacco alla flotta dei bombardieri strategici russi, né la Russia né l’Ucraina volevano la pace. Putin è infatti assolutamente convinto di vincere sul campo e vuole una Ucraina menomata di cinque regioni, normalizzata politicamente e inoffensiva militarmente, depurata da ogni velleità di indipendenza e di democrazia, e per questo al tavolo fa richieste irricevibili. L’Ucraina, di contro, potrebbe ragionare, con opportune garanzie di difesa da parte dell’Occidente, su un “cessate il fuoco” sulle linee attuali che congeli per qualche anno la questione territoriale, ma vuole sopravvivere come paese libero, democratico e indipendente, con la sua integrità e la sua forza militare, e non può accettare di sottomettersi, tantopiù che non ha affatto perso la guerra sul campo, come sostiene la narrativa tossica del Cremlino: potrebbe resistere anni.
E non a caso gli ucraini hanno rilanciato con un’altra operazione clamorosa: un nuovo attacco al ponte di Kerch, che è stato attaccato con cariche esplisive sottomarine piazzate sotto un pilone, cariche piazzate da sub giunti a bordo di “maiali”. Una altra prova di guerra creativa, da parte di un Paese più debole ma che combatte con tattiche più moderne e flessibili.
Viste le due posizioni dei belligeranti, uniti nel no a una vera pace perché ne hanno una concezione opposta _ l’attacco dei droni può essere stato in ultima analisi funzionale a Kiev come anche a Mosca. A Kiev perché dimostrandone la tenacia e la capacità di portare le operazioni belliche sul territorio russo e minando la credibilità di Putin con il suo stesso popolo ribadisce che la guerra è tutt’altro che decisa e la pace dovrà essere trattata e non imposta. A Mosca perché offre ai falchi del Cremlino una scusa per rigettare una trattativa di vera. Ergo, la prospettiva è una sola ed è terribile: la guerra continuerà.