L’improvvisa sospensione delle procedure per il rilascio dei visti J-1 da parte dell’Amministrazione Trump ha creato preoccupazione, non solo tra gli studenti internazionali, ma anche tra migliaia di famiglie americane che dipendono dalle au pair straniere per la cura dei loro figli.
Nei prossimi quattro mesi, erano attese circa 5.600 giovani, ma il blocco delle domande ha mandato in tilt viaggi, abbinamenti e routine familiari.
Il Dipartimento di Stato ha annunciato l’interruzione della nuova elaborazione dei permessi per diverse categorie, tra cui il J-1, noto come Exchange Visitor Program. Questa decisione è stata motivata dalla necessità di rafforzare i controlli per impedire l’ingresso di potenziali minacce alla sicurezza nazionale. Se l’attenzione mediatica si è concentrata soprattutto sul visto per studenti F-1, il programma J-1 comprende una vasta gamma di partecipanti temporanei, dai consulenti di campo al personale medico fino ai cargiver.
Mark Overmann, direttore esecutivo dell’Alliance of International Exchange, ha spiegato alla rivista settimanale Newsweek che molti candidati avevano già iniziato a organizzare le loro future esperienze e, in alcuni casi, erano stati già predisposti abbinamenti alle famiglie ospitanti prima del blocco. Overmann avverte che il protrarsi dello stop acuisce il disordine, mettendo a rischio non solo i percorsi delle ragazze alla pari, ma anche la stabilità quotidiana di migliaia di genitori che si affidano a queste figure per la cura dei bambini.
In base alle stime di InterExchange, organizzazione che supporta il programma J-1, le lavoratrici alla pari spendono, ogni anno, negli USA, in media 143,8 milioni di dollari. L’87% dei nuclei familiari che si affidano a queste giovani non riuscirebbe a trovare alternative adeguate di assistenza all’infanzia senza il programma. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2023, hanno partecipato oltre 21.400 persone, mentre circa 348.000 hanno ottenuto il visto J-1.
Nonostante la popolarità dell’iniziativa, non mancano le problematiche: nel 2019, infatti, un gruppo di ex au pair ha citato in giudizio alcune agenzie per le condizioni di lavoro e i salari trattenuti, concludendo in seguito un accordo da 65,5 milioni di dollari. Tuttavia, la sospensione attuale non mira a esaminare tali questioni, ma a intensificare il controllo sui candidati, compresa l’analisi dei loro profili social.
Interpellato da Newsweek, un portavoce del Dipartimento di Stato ha ribadito che ottenere un visto per gli Stati Uniti è “un privilegio, non un diritto”. Ha inoltre invitato i richiedenti a presentare comunque domanda e attendere la riapertura delle assegnazioni presso le ambasciate e i consolati americani, raccomandando la massima sincerità nelle dichiarazioni.
La pausa nei programmi di visto J-1, che prevedono rigorosi controlli prima dell’approvazione, ha suscitato allarme tra i sostenitori dell’immigrazione e i gruppi di scambio culturale. Overmann ha sottolineato come queste opportunità siano ormai profondamente integrate nella vita quotidiana di molte comunità americane, spesso senza che gli stessi cittadini se ne rendano conto.