All’inizio era il sogno: un’inedita alleanza tra l’uomo più visionario del settore tecnologico e il politico più polarizzante della recente storia americana.
Elon Musk e Donald Trump, insieme, promettevano la rivoluzione del “Make America Great Again”. Doveva essere la fusione perfetta tra l’efficienza imprenditoriale e il decisionismo politico. Ma come spesso accade quando due persone con forti personalità si incontrano, la miscela è risultata instabile. E ora brucia su più fronti.
Le immagini sorridenti, le strette di mano, le chiavi della Casa Bianca, gli annunci congiunti dallo Studio Ovale non sono bastati a coprire le profonde crepe di un rapporto costruito più sul calcolo che sulla visione comune. La tensione tra i due è ormai manifesta: tra accuse, vendette, sabotaggi e contraddizioni che stanno minando non solo la loro alleanza personale, ma l’intero impianto di governo a cui avevano legato il proprio destino.
Simbolo di questo fallimento è il Department of Government Efficiency (DOGE), creato da Trump e affidato a Musk con la promessa di “razionalizzare” la spesa pubblica. Aveva il compito di scovare l’inefficienza, tagliare il bilancio federale, eliminando programmi considerati superflui o mal funzionanti. Rendere più agili e “aziendali” i processi decisionali del governo federale, ottimizzando i costi, trasferendo la gestione di alcuni servizi statali ad aziende private. Sostituire ruoli amministrativi con sistemi automatizzati e intelligenza artificiale, per migliorare l’efficienza e ridurre il personale. Tutto nel nome della trasparenza, con pubblicazione online delle spese, accesso ai dati in tempo reale e presunta “open governance”. Il DOGE si sarebbe dovuto inserire in ogni agenzia federale come “sentinella del risparmio”, con poteri quasi commissariali. I risultati, invece, sono stati ben altro: i tagli sono stati indiscriminati colpendo agenzie vitali, senza analisi d’impatto. Si è assistito ai licenziamenti di massa che hanno paralizzato l’apparato federale. Le promesse di trasparenza si sono dissolte in una gestione opaca e centralizzata, con decisioni prese da Musk e pochi collaboratori senza consultazioni pubbliche o parlamentari. L’automazione promessa si è arenata in problemi pratici e rifiuto dei sindacati.
Si sono verificati conflitti d’interesse legati alla vicinanza tra il DOGE e alcune aziende legate a Musk. Invece di ridurre il deficit, l’Amministrazione ha approvato un disegno di legge che, secondo il Congressional Budget Office, lo aumenta di quasi 4.000 miliardi di dollari in dieci.

Così quello che avrebbe dovuto essere un laboratorio di innovazione è diventato un apparato paralizzante. I licenziamenti di massa, il blocco dei fondi per gli aiuti esteri, la cancellazione di interi programmi sociali: più che l’efficienza, hanno prodotto il caos. E tutto questo mentre il presidente stesso portava al Congresso un suo “bellissimo” disegno di legge sulla spesa. La mano destra non sapeva (o non voleva sapere) cosa facesse la sinistra.
Musk, ospite del programma Sunday Morning su CBS, ha parlato di “capro espiatorio”. Ha detto di essere stato usato, lasciato solo, di non aver mai condiviso la visione dell’Amministrazione pur essendone il volto più visibile. Ha persino definito “deludente” il bilancio approvato dalla Camera, destinato – a suo dire – a vanificare ogni sforzo fatto con il DOGE. È difficile dargli torto sul piano logico. Ma è difficile anche non notare la sua ingenuità politica: pensare di poter guidare il cuore del governo federale come se fosse una startup è stata una scommessa perdente.
Dalla Casa Bianca sono arrivate le contromosse. Lo speaker della Camera Mike Johnson ha provato a minimizzare con toni concilianti, ma altri fedelissimi di Trump – da Peter Navarro a Boris Epshteyn – hanno colpito Musk nel punto più vulnerabile: la sua reputazione. La bocciatura del suo alleato Jared Isaacman alla guida della NASA è apparsa come un’umiliazione studiata. La pubblicazione di articoli sul presunto uso di droghe da parte di Musk, altrettanto strategica.
E tutto questo, nonostante Musk avesse contribuito alla campagna elettorale di Trump con una cifra monstre: 250 milioni di dollari. Un investimento personale e politico che oggi appare come uno dei peggiori affari del visionario di Tesla e SpaceX. Non solo non ha garantito influenza stabile, ma è stato restituito con una serie di umiliazioni pubbliche e veleni privati. Anche i grandi donatori, oggi, si accorgono che nell’universo trumpiano non esistono alleanze, ma solo fedeltà da dimostrare quotidianamente.
Il DOGE, nel frattempo, è diventato il simbolo della confusione: un ente nato per tagliare sprechi, ma del quale nessuno si è preso le responsabilità delle decisioni, si è trasformato in un boomerang politico e mediatico, incapace di incidere realmente.
I boicottaggi contro Tesla, le proteste sindacali, i malumori degli investitori hanno costretto Musk a un forzato distacco: in una recente conference call con gli azionisti ha promesso che si sarebbe dedicato di più alla sua azienda e meno alla politica.
Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump, ha addirittura previsto che il presidente potrebbe prendere di mira la ricchezza di Musk, esaminando i sussidi governativi che hanno contribuito al successo delle sue aziende, come il credito d’imposta di 7 mila dollari per i veicoli Tesla. Cohen ha suggerito che Trump potrebbe utilizzare il DOGE per indagare e potenzialmente recuperare questi sussidi sotto la copertura di eliminare sprechi e frodi governative.
L’addio di Musk è stato il tramonto dell’illusione che la tecnologia potesse salvare la politica, che la genialità imprenditoriale potesse sostituirsi al compromesso e alla mediazione.