In un clima politico sempre più teso, anche l’insegnamento universitaria finisce sotto esame. L’ultima polemica che coinvolge Harvard, riguarda un corso di calcolo. L’ateneo è stato accusato dalla Casa Bianca di offrire lezioni di “matematica correttiva” agli studenti del primo anno.
Durante un briefing, Donald Trump ha ironizzato sulle competenze degli allievi dell’università più prestigiosa d’America, insinuando che tra i suoi iscritti ci siano ragazzi incapaci di fare semplici somme. Una battuta diventata virale che si è rapidamente trasformata in una narrazione ufficiale.
Oltre alle illazioni del Presidente, anche due agenzie sostengono che Harvard ha abbassato i propri standard a tal punto da dover introdurre percorsi di recupero di “aritmetica da scuole medie”. Ma un’analisi attenta rivela un quadro ben diverso.
Gli studenti, hanno già alle spalle quattro anni della materia e punteggi SAT nella fascia più alta, ben oltre il 95esimo percentile nazionale.
Tuttavia, la controversia, ha radici più profonde. Tutto è iniziato lo scorso autunno, quando l’istituzione ha ampliato l’offerta dei suoi piani formativi inserendo una nuova sezione del calcolo introduttivo, che si svolge cinque giorni a settimana invece di quattro. L’obiettivo dichiarato era quello di offrire più tempo per rivedere concetti algebrici fondamentali, spesso affievoliti durante la pandemia.
A settembre, un articolo del giornale studentesco Harvard Crimson aveva parlato del nuovo modulo come di un tentativo di “rettificare lacune nelle competenze algebriche”, omettendo tuttavia che si sarebbe trattato di una regolare offerta didattica.
A marzo, Marc Porter Magee, a capo di un’organizzazione per la difesa dell’istruzione, aveva rilanciato su X, l’articolo del Crimson, affermando che il campus, per la prima volta nella sua storia, era stato costretto a offrire un ciclo di recupero. Il post, era stato raggiunto da oltre un milione di visualizzazioni.
L’equazione, seppure, sbagliata è diventata un’arma politica. Il 23 aprile, Trump aveva ribadito pubblicamente che alcune università, con riferimento implicito ad Harvard, stavano insegnando nozioni matematiche basilari che “chiunque poteva facilmente risolvere”. Aveva anche sollevato dubbi su come fosse possibile che studenti eccellenti venissero esclusi, mentre altri, con scarse competenze, fossero riusciti ad accedere.
Anche il segretario all’Istruzione Linda McMahon era intervenuta, parlando apertamente di una “meritocrazia tradita” e aveva scritto all’ateneo per annunciare il blocco dei fondi federali. Nella sua lettera veniva definita “imbarazzante” la necessità di un corso simile, chiedeva inoltre come un’università talmente selettiva potesse abbassare così tanto l’asticella.
Martedì, un altro funzionario federale, Josh Gruenbaum, ha fatto circolare una comunicazione interna in cui si invitano le agenzie a riesaminare e potenzialmente a cancellare, tutti i contratti in essere con l’istituzione.
Le risposte de campus non si sono fatte attendere. È stato precisato che sebbene la pandemia abbia generato lacune, gli studenti iscritti continuano a mantenere un livello matematico molto elevato. La nuova sezione del corso di calcolo ha accolto circa 20 studenti e condivide gli stessi esami della versione standard.
Indipendentemente dal dibattito specifico che circonda questo corso, c’è un principio ferreo in gioco. I programmi universitari sono stati a lungo considerati off-limits per l’interferenza politica al fine di salvaguardare la libertà accademica e l’autonomia istituzionale. La vendetta di Donald Trump contro le università, e in particolare contro Harvard, non ha precedenti e viola questo assioma fondamentale dell’istruzione americana.
I programmi di studio sono realizzati da studiosi ed esperti nei loro campi, non da politici che potrebbero non avere il necessario background accademico. Mentre i governi, in generale, svolgono un ruolo nel finanziamento dell’istruzione e nella definizione di ampi standard educativi, il coinvolgimento diretto nei programmi universitari può essere visto come una minaccia alla libera ricerca e all’innovazione.