Un colloquio riservato, un messaggio senza giri di parole e un ultimatum che arriva dritto dal cuore della monarchia saudita: “Prendete sul serio la proposta americana, o vi troverete a fronteggiare un conflitto con Israele.” È questo, secondo fonti del Golfo e funzionari iraniani, l’avvertimento recapitato a metà aprile a Teheran dal principe Khalid bin Salman, fratello dell’erede al trono e ministro della Difesa del Regno.
Il mittente del messaggio è Re Salman, 89 anni. Il destinatario: la guida suprema Ali Khamenei. Il contesto: una riunione a porte chiuse nel complesso presidenziale iraniano il 17 aprile, alla presenza del presidente Masoud Pezeshkian, del capo di stato maggiore Mohammad Bagheri e del ministro degli Esteri Abbas Araghchi.
Il tono, stando alle fonti, è stato perentorio. Trump — ha detto Khalid — “non ha pazienza per trattative infinite”. L’iniziativa americana, formalizzata appena una settimana prima durante un’apparizione pubblica con Netanyahu, prevede uno scambio diretto, ossia sospensione delle sanzioni in cambio di limiti stringenti sul programma nucleare iraniano.
Pezeshkian avrebbe risposto di essere pronto a sedersi al tavolo per allentare la pressione economica, ma ha chiarito che l’arricchimento dell’uranio non è negoziabile. “Non smantelleremo il programma solo per accontentare Trump,” avrebbe detto, secondo una fonte iraniana.
L’Iran continua a negare l’intenzione di dotarsi dell’arma atomica, ma da mesi arricchisce uranio a livelli incompatibili con l’uso civile, rifiuta controlli degli ispettori e lavora a nuovi impianti sotterranei. A Natanz, secondo fonti occidentali, sta scavando sotto le strutture esistenti per proteggere eventuali attività belliche da un attacco aereo.
Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi, durante la recente visita di Trump nella regione, avrebbero espresso il loro no a un attacco militare contro Teheran. Ma Washington non esclude nulla. Un alto funzionario americano, citato dal Wall Street Journal, ha lasciato intendere che “se l’Iran non accetta le condizioni, non sarà una bella giornata per loro”.
Nel frattempo, l’amministrazione Trump starebbe preparando un documento vincolante — un “term sheet” — che vieterebbe ogni forma di arricchimento. A supervisionare l’eventuale accordo, secondo CNN, ci sarebbe un consorzio internazionale guidato dall’Agenzia atomica di Vienna (IAEA) insieme a diversi paesi mediorientali. Un’ipotesi che Israele guarda con diffidenza.
Trump, parlando con i giornalisti, ha detto che le trattative sono “vicine a una soluzione” e ha ammonito Netanyahu a non agire per conto proprio. “Non vogliamo che qualcuno rovini tutto con azioni premature,” ha dichiarato.
Ma a Gerusalemme si lavora in parallelo a piani militari, temendo che l’accordo lasci scoperti punti chiave come i missili balistici iraniani o il sostegno alle milizie in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Le stesse lacune che avevano affondato l’intesa del 2015.
La prossima tornata di colloqui, la sesta, non ha ancora una data. I round precedenti si sono svolti a Mascate e Roma. L’obiettivo resta quello di congelare le ambizioni atomiche dell’Iran in cambio di una parziale normalizzazione economica.
Nel frattempo, l’AIEA resta alla finestra. “La giuria è ancora fuori,” ha detto il direttore Rafael Mariano Grossi, che ha confermato contatti quotidiani con Araghchi e frequenti colloqui con Steve Witkoff, inviato speciale USA.
Il tempo però stringe. E se la finestra diplomatica si chiude, l’alternativa rischia di essere un’altra guerra nel cuore del Medio Oriente.