Da quando è rientrato alla Casa Bianca Donald Trump ha firmato una raffica di atti di clemenza, concedendo grazie e condoni a una lunga lista di condannati, molti dei quali legati a doppio filo al suo mondo: sostenitori politici, donatori generosi, celebrità mediatiche e personaggi controversi.
Alcuni di loro avevano già scontato la propria pena; altri sono stati liberati prima del tempo. In certi casi, i reati erano di tipo amministrativo o fiscale; in altri, ben più gravi, si trattava di frodi, spaccio, corruzione o addirittura terrorismo interno. Eppure, il filo rosso che sembra legare i graziati non è la natura del reato, bensì la fedeltà personale o politica al presidente.
L’elenco è lungo e variegato. Tra i nomi che più hanno fatto discutere, c’è quello di Larry Hoover, boss della gang di Chicago “Gangster Disciples”, che secondo l’FBI aveva messo in piedi un’imponente rete di spaccio attiva in tutti gli Stati Uniti, con un giro d’affari annuo di oltre 100 milioni di dollari. Nonostante le accuse pesantissime e l’etichetta di criminale pericoloso, anche Hoover è tornato in libertà.
Molti altri casi sembrano riflettere un’idea soggettiva di “meritevolezza” politica. È il caso di Adam Fox e Barry Croft, due militanti di estrema destra condannati per aver pianificato il rapimento della governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer. Nonostante il piano terroristico, entrambi hanno ottenuto la grazia presidenziale.

Nella lunga lista figurano anche numerose celebrità dello spettacolo e della musica. Il rapper Kentrell Gaulden, noto come NBA YoungBoy, con una lunga serie di precedenti penali, si era dichiarato colpevole di possesso illegale di armi. Il caso ha suscitato paragoni con quello di Hunter Biden, anch’egli sotto accusa per reati simili. Ma mentre il figlio dell’ex presidente è ancora sotto processo, Gaulden ha ricevuto la grazia, con Trump che ha chiesto “comprensione” pubblica.
Anche i protagonisti del reality Todd e Julie Chrisley, condannati per frodi bancarie e fiscali per oltre 30 milioni di dollari, sono stati graziati. La loro figlia Savannah, nota sostenitrice di Trump, aveva accusato gli inquirenti federali di volerli punire per la loro visibilità e le loro opinioni conservatrici.
Alla base di questa ondata di clemenza c’è un cambiamento fondamentale: Trump ha modificato l’iter tradizionale per la concessione delle grazie, eliminando il controllo preventivo da parte del Dipartimento della Giustizia. Ora l’unico responsabile delle decisioni è il presidente stesso.
Ad assisterlo in questa funzione, una figura emblematica: Alice Johnson, ex detenuta condannata all’ergastolo per traffico di droga, già graziata da Trump durante il suo primo mandato. Johnson è stata nominata consigliera presidenziale per la grazia, ruolo che i media hanno soprannominato, non senza ironia, “zarina delle grazie”.
Le conseguenze di questa modifica sono evidenti: molte delle richieste di clemenza, presentate durante l’Amministrazione Biden e respinte dal Dipartimento della Giustizia, sono state riesaminate e approvate. Nessun filtro, nessuna revisione tecnica: solo la volontà del presidente e dei suoi consiglieri.
Il messaggio politico non è neanche troppo velato. Ed Martin, consigliere di Trump, ha sintetizzato la strategia in un post diventato virale: “Nessun MAGA sarà abbandonato.”
No MAGA left behind.
— Ed Martin (@EagleEdMartin) May 26, 2025
Il perdono, insomma, non è più solo un atto di clemenza, ma un gesto di appartenenza politica, una dichiarazione di solidarietà ideologica. Ne è esempio il caso di Michael Grimm, ex deputato repubblicano e agente FBI, condannato per evasione fiscale e minacce a un giornalista. Dopo aver scontato sette mesi di carcere, tornato in libertà è rimasto paralizzato in seguito a un incidente a cavallo. Anche lui ha beneficiato della grazia, presentato dai collaboratori di Trump come “vittima di un sistema giudiziario politicizzato”.
Stessa sorte per Mark C. Bashaw, ex ufficiale dell’esercito punito per aver violato i protocolli sanitari durante la pandemia rifiutandosi di indossare la mascherina o vaccinarsi. Oppure per James Callahan, sindacalista newyorkese colpevole di aver nascosto donazioni in biglietti per eventi sportivi e teatrali per oltre 300.000 dollari.
La clemenza presidenziale ha toccato anche politici di peso. Jeremy Hutchinson, ex senatore statale dell’Arkansas, è stato condannato a più di quattro anni per frode e corruzione. I suoi legali hanno scritto al presidente sostenendo che il loro assistito fosse stato preso di mira per la sua appartenenza repubblicana. Anche per lui, la grazia è arrivata.
Stesso copione per John Rowland, ex governatore del Connecticut, condannato per aver fatto eseguire lavori nella propria casa da un imprenditore favorito da appalti pubblici. Il suo team legale parla chiaramente di “persecuzione politica”.
Ma il caso più emblematico, per portata e implicazioni, è quello di Imaad Zuberi. Ricco imprenditore e finanziatore di campagne politiche, Zuberi è stato condannato a 12 anni per violazioni delle leggi sul lobbying, frodi fiscali e tentativi di ostacolare la giustizia. Aveva donato oltre 1,1 milioni di dollari a comitati legati a Trump e al Partito Repubblicano, ottenendo inviti a cene ufficiali alla Casa Bianca. Nel 2020 si era dichiarato colpevole. Oggi è un uomo libero.
Nella visione di Trump, la grazia non è solo un atto di giustizia individuale. È una moneta politica, un premio per la fedeltà, uno strumento per rafforzare la narrativa della “persecuzione” usata per sminuire la gravità della condanna che gli è stata inflitta, trasformando un gesto di umanità in una dichiarazione di appartenenza.
I critici parlano di abuso di potere e di trasformazione autoritaria della presidenza, i suoi sostenitori celebrano il leader che “non li abbandona”.