Putin vuole fermare la guerra, ma solo alle sue condizioni. Nessuna pace senza un impegno scritto dell’Occidente a bloccare l’allargamento della NATO verso est. Nessuna tregua senza la revoca di parte delle sanzioni e senza lo status neutrale dell’Ucraina. La richiesta arriva da tre fonti russe coinvolte nel negoziato, riportate da Reuters., Kyiv e le capitali europee accusano Mosca di guadagnare tempo mentre l’esercito spinge sul fronte orientale.
Donald Trump, che da mesi insiste sulla necessità di porre fine al conflitto, ha perso la pazienza. “Putin sta giocando col fuoco”, ha dichiarato martedì, irritato per il rifiuto del leader russo di aprire un canale di dialogo con Zelensky.
La scorsa settimana, i due hanno parlato per oltre due ore. Al termine del colloquio, Putin ha annunciato l’intenzione di lavorare a un memorandum con Kyiv per definire i contorni di un’intesa. Mosca sta ancora redigendo una propria bozza. Nessuna indicazione sui tempi.
L’iniziativa non convince l’Ucraina, che denuncia una manovra dilatoria. “Putin è pronto a trattare, ma non a qualunque prezzo”, dice una fonte vicina al Cremlino. Se l’accordo non arriverà alle condizioni russe, allora sarà la guerra a imporle. “La pace di domani sarà più dolorosa”.
Le richieste sono note. Uno stop formale all’espansione della NATO, che escluda adesioni future di Ucraina, Georgia, Moldova e altri Paesi ex sovietici. Lo sblocco parziale dei beni russi congelati in Occidente. Una clausola di neutralità permanente per Kyiv. E garanzie sui diritti della popolazione russofona nei territori contesi.
Il Cremlino, interpellato, non risponde. Ma da settimane ripete che ogni trattativa dovrà partire dalle cause profonde del conflitto. Per Mosca, si tratta dell’allargamento atlantico e del sostegno militare fornito a Kyiv.
Zelensky, invece, rifiuta ogni forma di veto russo sulle aspirazioni strategiche ucraine. Chiede all’Occidente impegni vincolanti che dissuadano Mosca da future aggressioni. Dalla NATO arriva una linea netta. Nessuna revisione della politica della “porta aperta”. Anche in questo caso, silenzio sui negoziati in corso.
Dall’inizio dell’invasione, nel febbraio 2022, la Russia ha conquistato quasi un quinto dell’Ucraina. Controlla gran parte del Luhansk, oltre il 70 per cento del Donetsk, ampie aree di Zaporizhzhia e Kherson. Ha posizioni a Kharkiv e Sumy, e ora minaccia Dnipropetrovsk. Ma l’operazione costa caro. A Mosca pesa la spirale inflazionistica, i tassi elevati, la carenza di manodopera e il crollo dei prezzi del petrolio.
Trump, da sempre favorevole a una de-escalation, ha però condannato con toni duri i raid aerei russi della scorsa settimana. In un messaggio social, ha parlato di un Putin “completamente impazzito”. E ha lasciato intendere che ulteriori ritardi potrebbero portare a nuove sanzioni.
Le fonti russe non escludono un’escalation. Se si aprisse una finestra tattica, l’esercito avanzerà. Al Cremlino sono convinti di poter sostenere la guerra per anni, anche con l’economia sotto pressione. Sulla questione territoriale, intanto, nessun passo indietro. “Putin ha irrigidito la sua posizione”, spiega una delle fonti. Vuole il pieno controllo delle quattro regioni annesse e della Crimea.
Il nodo, per il Cremlino, è storico. Dopo il crollo del Muro, Mosca sostiene di essere stata ingannata. Nel 1990, il segretario di Stato americano James Baker avrebbe assicurato a Gorbaciov che la NATO non si sarebbe spinta a est. Nessun documento, solo parole. Oggi Putin pretende un impegno formale.
La NATO replica che non rappresenta una minaccia, ma nel rapporto del 2022 ha indicato la Russia come “la principale minaccia diretta alla sicurezza dell’area euro-atlantica”. Dopo l’invasione dell’Ucraina, anche Finlandia e Svezia hanno aderito all’Alleanza.
Per molte capitali europee, una vittoria russa in Ucraina aprirebbe scenari ben più gravi. Il rischio, dicono, è che Mosca colpisca uno Stato membro. Un’ipotesi che trascinerebbe il mondo in guerra. Il Cremlino liquida l’allarme come propaganda. Ma avverte: il conflitto potrebbe estendersi.