Quando si sfiorano i temi dell’etica e della dignità umana, lo scontro tra religione e politica può farsi incandescente. Ed è quanto sta accadendo negli Stati Uniti, dove i vescovi cattolici americani hanno apertamente criticato l’Amministrazione Trump per la decisione di revocare alcune misure di tutela rivolte alle donne incinte detenute nei centri di immigrazione.
Il provvedimento, formalizzato lo scorso 5 maggio da un memorandum interno della U.S. Customs and Border Protection CBP, l’agenzia federale che ha il compito di controllare e proteggere i confini, ha suscitato l’indignazione della USCCB (U.S. Conference of Catholic Bishops), che ha parlato di una scelta “profondamente preoccupante e imperdonabile”.
A esprimere la posizione ufficiale dell’assemblea episcopale è stato il vescovo Mark J. Seitz, di El Paso, Texas, attuale presidente della Commissione per le migrazioni dell’USCCB. Secondo quanto riferito, il religioso avrebbe lamentato con forza l’assenza di considerazione verso la vulnerabilità di madri e bambini, accusando il governo di aver agito con “indifferenza” nel cancellare misure minime di sicurezza e dignità.
In particolare, il memorandum ha invalidato il documento del 2022 intitolato Processing of Pregnant, and Postpartum Noncitizens and Infants, che garantiva una serie di accorgimenti fondamentali: tra questi, valutazioni mediche tempestive per le donne in gravidanza e ambienti riservati per quelle che allattano.
La posizione dei vescovi si è irrigidita ulteriormente di fronte al crescente ricorso alla detenzione familiare, giudicata una pratica poco sicura e costosa rispetto ad alternative più umane. Seitz avrebbe sottolineato che “proteggere le madri incinte e i loro figli non può mai essere considerato obsoleto”, ribadendo che anche i migranti irregolari detenuti godono di una dignità inviolabile che va rispettata. La richiesta dell’USCCB è chiara: ripristinare al più presto una guida che rifletta standard di cura più alti per queste categorie fragili.
Nel frattempo, il fronte si è allargato anche alla questione dei fondi per i programmi di reinsediamento dei rifugiati, recentemente congelati, tanto da spingere l’organizzazione episcopale a intraprendere un’azione legale contro l’amministrazione.