Secondo l’agenzia palestinese Ynet e Al Jazeera, Hamas avrebbe accettato la proposta per una tregua di 60 giorni e il rilascio di 10 ostaggi israeliani vivi, avanzata dall’inviato speciale degli Stati Uniti, Steve Witkoff. Tuttavia, proprio quest’ultimo ha smentito la notizia, affermando: “Quello che ho sentito finora da Hamas è stato deludente e del tutto inaccettabile”.
“Ho accettato di guidare i negoziati – ha dichiarato Witkoff al media israeliano Walla –. C’è un accordo sul tavolo e Hamas dovrebbe accettarlo. Potrebbe portare a negoziati significativi verso un cessate il fuoco permanente”.
Witkoff ha chiarito che ad aver detto sì al piano americano è stato invece Israele. Lo conferma un video pubblicato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dove sostiene che “oggi e, se non è oggi, domani” ha intenzione di dare un annuncio sulla liberazione degli ostaggi.
Intanto, l’esercito israeliano ha intensificato le operazioni militari nella Striscia perseguendo l’obiettivo stabilito di conquistare tutta Gaza. Nelle scorse, la scuola Fahmi Aljarjaoui, adibita a rifugio per gli sfollati nel quartiere di Al-Daraj a Khan Younis, è stata colpita da uno dei bombardamenti dell’IDF e ha riportato almeno 55 morti, tra cui 18 bambini e diverse donne. I feriti sono più di 60 e, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, sarebbero “gravemente ustionati”. L’attacco ha innescato vasti incendi che in poco tempo hanno divorato le tende dei rifugiati. Israele ha giustificato l’azione spiegando che l’istituto era in realtà “un centro di comando di Hamas” ed erano nascosti al suo interno “terroristi di alto livello”.
In un altro attacco nel Nord della Striscia, a Jabalia, la Protezione civile ha riportato 19 vittime, definite dall’Afp “martiri della famiglia Abd Rabbo”.
Nella zona di al-Mawasi, a Ovest, l’IDF ha ordinato l’evacuazione immediata di tutti i residenti perché l’area è “pericolosa”. Gli ospedali di Nasser e al-Amal sono stati esclusi dall’ordine.
Sorprende il licenziamento del direttore della nuova fondazione umanitaria Gaza Humanitarian Foundation, con sede in Svizzera e sponsorizzata dagli Stati Uniti. Jake Wood ha motivato le sue dimissioni dichiarando che non è possibile mettere in atto il piano di distribuire 300 milioni di pasti per 90 giorni “rispettando rigorosamente i principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”. Ong e l’agenzia delle Nazioni Unite presenti sul territorio si sono dissociate dall’operazione, che sarebbe dovuta cominciare lunedì, denunciando che la fondazione sta collaborando con Israele.