La speranza di un rinnovamento nella Chiesa si scontra con il peso delle ombre del passato. Da Chicago si alzano le voci dei sopravvissuti agli abusi sessuali del clero contro la gestione dei casi da parte del nuovo papa, Leone XIV, e chiedono una politica globale di tolleranza zero.
Martedì, in una conferenza stampa, vittime di violenze perpetrate dai ministri del culto hanno rilanciato l’appello per una maggiore trasparenza da parte della Chiesa cattolica.
La rete Survivors Network of those Abused by Priests, SNAP, ha puntato il dito contro Robert Prevost, adesso Leone XIV, avanzando dubbi su alcune sue decisioni quando era a capo di ordini religiosi e diocesi in diverse parti del mondo.
Secondo SNAP, il nuovo papa avrebbe potuto e dovuto agire con maggiore determinazione nei confronti dei preti accusati di abusi in paesi come Stati Uniti, Perù, Colombia, Canada e Australia. Il presidente dell’organizzazione, Shaun Dougherty, ha affermato che l’esperienza degli attivisti mostra che solo una significativa pressione pubblica potrebbe spingere il Pontefice a intraprendere cambiamenti concreti.
La risposta dell’arcidiocesi di Chicago non si è fatta attendere: in una nota ufficiale, ha ribadito che Prevost avrebbe agito con compassione nei confronti degli abusati e nel rispetto delle norme ecclesiastiche vigenti all’epoca. La dichiarazione, articolata in cinque punti, ha sottolineato che il religioso aveva seguito le procedure previste, offrendo assistenza, allontanando i sospettati dal ministero e inoltrando le accuse alle autorità civili.
Tuttavia, SNAP ha presentato documenti e comunicazioni interne che racconterebbero una realtà diversa. Tra i casi citati, uno riguarderebbe un sacerdote con numerose accuse a carico che, lasciata la Chiesa nel 1993, trovò successivamente lavoro come guida turistica allo Shedd Aquarium di Chicago. A raccomandarlo fu un alto funzionario dell’Ordine agostiniano, e Prevost, che ereditò il caso nel 1999, secondo gli avvocati avrebbe dovuto intervenire con maggiore prontezza, considerato che l’uomo lavorava a stretto contatto con bambini.
L’organizzazione ha inoltre ricordato la vicenda di altri due preti accusati di abusi nella diocesi di Chiclayo, in Perù, durante l’episcopato di Prevost dal 2014 al 2023. Le denunce, presentate da tre donne nel 2022, furono inizialmente archiviate da un ufficio vaticano, ma l’indagine fu riaperta solo dopo la partenza del religioso per Roma.
In sua difesa, il Vaticano ha sostenuto che il prelato avrebbe rispettato i protocolli canonici, imponendo misure restrittive temporanee e segnalando il caso alle autorità locali, le quali però non avrebbero potuto procedere per via della prescrizione. La Santa Sede ha anche precisato che le indagini erano state avviate e le vittime ascoltate.
Nel frattempo, l’ombra di un conflitto interno continua ad allungarsi. In Vaticano si parla di una campagna orchestrata per screditare il Santo Padre da parte di alcuni esponenti del movimento cattolico peruviano Sodalitium Christianae Vitae, soppresso da Papa Francesco per gravi casi di abusi. Prevost, coinvolto attivamente nell’indagine, si sarebbe attirato l’ostilità di vari appartenenti del movimento, che avrebbero poi rilanciato accuse e sospetti sui social media.
Ma per i sopravvissuti, l’obiettivo è uno soltanto: vorrebbero che la Chiesa adottasse ovunque lo stesso standard introdotto negli Stati Uniti dopo lo scandalo del 2002, ovvero la rimozione definitiva dal ministero per ogni singolo caso accertato o ammesso di abuso. Solo così, sostengono, si potrà voltare davvero pagina.